| posto un racconto che lessi molto tempo fa di cui non conosco l'autore l'autrice ..
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Non era la prima volta che Marta si recava dal suo analista. Vi ricorreva quando si sentiva frustrata perché incapace di affrontare col suo compagno i loro problemi, specialmente quelli sessuali. Con Stefano non riusciva a confidarsi, a lasciarsi andare completamente.
Marta era una giovane donna non particolarmente bella, con verdi occhi grandi e capelli neri e mossi che le ricadevano sulle spalle. Era timida ma spesso diventava aggressiva per nascondere le sue debolezze. Quando non sapeva come comunicare le proprie idee, alzava la voce e si rendeva particolarmente antipatica. Stefano, un uomo tutto d'un pezzo, affermato professionista, affascinante e gentile, la lasciava fare. Ma tra loro, ormai da tempo i rapporti sessuali non adavano troppo bene. Marta aveva cominciato a fingere esagerati e improbabili orgasmi multipli, mentre Stefano, che se n'era accorto, recitava la sua parte in performance sempre uguali e noiose, complicando ulteriormente la situazione. Anche la routine quotidiana andava avanti senza imprevisti: la casa, il lavoro, i soltiti amici. Marta desiderava uscire da questa situazione di stallo e credeva fermamente che solo l'aiuto dell'analista potesse aiutarla.
Marta entrò nello studio del Dott. Hackenberg. La segretaria le sorrise e le fece cenno di accomodarsi in sala d'attesa. - Il dottore sarà presto da lei.
La segretaria aveva la buona abitudine di prendere appuntamenti con grande precisione, in modo che non fosse necassario attendere più di qualche minuto. L'attesa, per i pazienti del dottore non doveva essere motivo di ulteriore ansia.
La porta della saletta si aprì. Era il Dott. Hackenberg che, come sempre, accoglieva di persona il paziente di turno.
- Cara Marta, come andiamo oggi? - le chiese, indicandole il lettino mentre si sedeva alla scrivania. - Si accomodi. Sarò subito da lei.
Marta posò la borsa su una sedia e si sdraiò, per nulla rilassata. Questa era una seduta importante perché, come le aveva anticipato il Dott. Hackenberg, avrebbero scavato ancora più a fondo nella sua infanzia. Il dottore scrisse qualcosa su alcuni fogli, prese il suo taccuino e andò a sedersi sulla poltroncina accanto alla paziente. La osservò per un attimo al di sopra degli occhiali, notando un'insolita irrequietudine.
- Allora - ripetè - Come andiamo oggi?
- Per niente bene, dottore - rispose Marta con un filo di voce. - Sono un po' nervosa.
Il Dott. Hackenberg conosceva Marta da molto tempo e sapeva che nelle loro sedute la sua paziente non riusciva a raccontarsi completamente. Questo era il limite che non aveva ancora consentito al dottore di fornire un vero aiuto alla donna.
- Ora cerchi di rilassarsi, con calma. Non abbiamo assolutamente fretta. Quando sarà pronta, potremo cominciare. Trascorsi alcuni minuti, il dottore iniziò a formulare alcune domande di routine, alle quali Marta rispondeva quasi meccanicamente, con lo stesso tono e le stesse parole di sempre.
- Oggi cercheremo di fare qualche passo avanti. Cerchi di rilassarsi più che può. Ecco così. Prenda un bel respiro. Chiuda gli occhi, se la può aiutare. Marta annuì. Era desiderosa di aprirsi, ma ne aveva anche paura. Temeva di scoprire una lato di se stessa che non voleva emergesse. Le domande che il Dott. Hackenberg ora stava facendo a Marta erano diverse dal solito. Altre volte le aveva chiesto della sua infanzia, ma questa volta era molto preciso nel ricercare ricordi più intimi. Dato che il problema erano i rapporti sessuali della paziente col suo uomo, bisognava indagare qualche eventuale aspetto nascosto della sessualità di Marta.
- Vi fu un particolare momento della sua infanzia in cui un episodio che ha vissuto o ha osservato le ha dato una particolare emozione? Qualcosa che ha suscitato in lei una strana sensazione di eccitazione o di paura, o di entrambe le cose? Marta teneva gli occhi chiusi. Scosse leggermente la testa, corrugando le sopracciglia, come se facesse fatica a ricordare, a scavare nel passato.
- Cerchi di ricordare. Una sensazione simile all'eccitazione sessuale. Non c'è nulla di strano. Tutti i bambini hanno queste sensazioni. Certamente sarà capitato anche a lei. -la rassicurò il Dott. Hackenberg.
- Non ricordo...Non ricordo... - Marta continuava a ripetere sottovoce, scuotendo la testa. Ad un tratto si arrestò e sbarrò gli occhi, quasi impietrita. Il Dott. Hackenberg la osservava attentamente. - Coraggio, cara. So che può farcela. Provi ancora a rilassarsi e poi trovi le parole. Sono qui per aiutarla. Marta chiuse nuovamente gli occhi. Le immagini che la sua mente aveva rimosso stavano riaffiorando e con loro anche le sensazioni.
- Non ce la faccio - disse riaprendo gli occhi e gurdando con aria supplichevole il dottore. - Deve tentare, Marta, per il suo bene. Se non riuscirà a raccontare tutto quanto, allora potrà fermarsi. Proviamo, sù
. Marta tirò un lungo sospiro e richiuse gli occhi, come se volesse nascondersi più che per rilassarsi. Era giunto il momento di affrontare le sue paure e i suoi desideri. Doveva farlo. Ora.
- E' successo molto tempo fa. Avevo circa sette anni. I miei genitori mi mandarono in vacanza dagli zii. Non erano dei parenti, ma li chiamavo zii perché c'era molta confidenza. Le nostre famiglie si conoscevano da generazioni. Vivevano in una grande cascina, nella campagna toscana. Avevano tre figlie, una della mia età e le altre più piccole. Un giorno, io e Maria, la mia coetanea, stavamo giocando nel pollaio e ci divertivamo a spaventare le galline per farle correre e strillare. Maria era abituata a fare quel gioco e si muoveva con abilità fra i posatoi. Io, invece, ero maldestra. Non mi accorsi che dietro ad un'asse si stavano riparando dei pulcini. Nel correre, inciampai e caddi sopra i piccoli, schiacciandone uno. Maria cominciò ad agitarsi. Mi prese per un braccio e mi portò fuori dal pollaio, richiudendo accuratamente il cancello. "Non dire niente a nessuno, altrimenti vedrai cosa ci succederà" mi disse spaventata. Io non capivo, ma la seguii in casa. Andammo a rifugiarci in camera da letto. Maria non parlava più: era talmente spaventata che tremava. Compresi poi perché. Non passò molto tempo che la zia trovò il povero pulcino ormai senza vita. Sapeva che la figlia ogni tanto faceva quel gioco stupido di spaventare le galline e cominciò a cercarla. "Maria! Maria!". Sentimmo la sua voce severa chiamare dal corridoio. Maria si tappò le orecchie e chiuse gli occhi. La zia entrò, spalancando la porta con una certa violenza. Ero seduta su una sedia e, per lo spavento, schizzai in piedi. Ma la zia non sembrò essersi accorta della mia presenza. "Maria, questa volta l'hai fatta grossa! Quante volte ti devo dire che non devi giocare nel pollaio?" le gridò, afferrandola per un braccio. Io rimasi impietrita. Fu la scena che seguì che mi diede quella sensazione: un misto di paura, di eccitazione e di vergogna.
Marta fece un lungo sospiro e trattenne per un attimo il fiato. Poi riprese a raccontare molto, molto lentamente. - Maria non oppose resistenza. La zia la sdraiò sulle sue ginocchia, bloccandola saldamente per la vita. "Ti sculaccerò a dovere!" le disse. "E tu Marta" mi disse, senza togliere lo sguardo dalla povera Maria, "guarda come si punisce una bambina disobbediente". Rimasi in piedi con gli occhi sbarrati ad osservare la scena. La zia sollevò la gonna di Maria, che stava singhiozzando. Poi le abbassò le mutandine e cominciò a sculacciarla. Maria si dimenava e singhiozzava. Ad ogni sculacciata provavo un brivido. Dopo un po' mi accorsi che avevo incrociato le gambe e stringevo forte le cosce, come facevo quando mi scappava la pipì. Mi dondolavo come ipnotizzata. Non so quanto durò la punizione, ma ricordo che mentre la mano si alzava e si abbassava sul sedere di Maria pensavo che dovevo esserci io al suo posto. Io avevo ucciso il pulcino e io dovevo ricevere la punizione. Ma non ebbi il coraggio di dire nulla. Il rumore delle sculacciate sulle natiche della mia amica mi facevano provare uno strano brivido: più la osservavo e più volevo guardarla. Per anni quell'immagine rimase impressa nella mia mente. I miei genitori non mi avevano mai sculacciato, né mai lo fecero in seguito. Non provai mai cosa significa trovarsi in quella situazione né ebbi mai il coraggio di chiedere a Maria cosa si prova. Col tempo me ne dimenticai e non ci pensai più.
Il Dott. Hackenberg prendendeva appunti. Ci fu un attimo di silenzio. Poi finalmente parlò. - Marta. Credo che questo sia un primo passo per individuare il suo problema. Senza dubbio questa esperienza le diede una sensazione che, allora, non seppe identificare. Ritengo che in qualche modo lei abbia sempre desiderato di essere al posto di Maria e che, nel suo subconscio, ancora desideri di scoprire quali sensazioni le avrebbe dato essere sculacciata. Mi dica un'ultima cosa: lei crede che la zia volesse bene a Maria?
- Sono certa di sì. Era una famiglia molto unita e gli zii erano affettuosi con le figlie. I miei, invece, non erano molto espansivi con me, come le ho già detto altre volte.
Il Dott. Hackenberg si tolse gli occhiali con gesto solenne e guardò Marta che intanto aveva riaperto gli occhi. - Parte del suo problema potrebbe derivare da questa esperienza. Nella sua mente la sculacciata rievoca un gesto d'amore, un gesto che le è stato negato dai genitori. Il dottore fece una breve pausa. - Ricorda se cercò mai di provocare i suoi genitori in modo da essere punita?
- No. Le loro uniche punizioni consistevano nel togliermi i giochi e la televisione. - Forse provò altre strade. Ci pensi un attimo. - Forse...Forse sì. Dopo quel fatto, cercai di attirare l'attenzione della zia. Quando si trovava nei paraggi, entravo nel pollaio, cercando di fare rumore perché mi sentisse. Ma tutto quello che ottenevo erano solo minacce. Solo una volta mi disse che se avessi continuato a disobbedire mi avrebbe dato uno sculaccione, uno solo. Ma non lo fece. - Lei è ancora alla ricerca di quella esperienza. Inconsciamente, nel suo rapporto con Stefano, desidera una dimostrazione di forza e d'amore al tempo stesso. Provi a immaginare per un attimo di trovarsi al posto di Maria e Stefano al posto della zia. Cosa prova? Marta guardò ad occhi sbarrati il Dott. Hackenberg. - Non guardi me. Cerchi di immaginarsi la scena. Marta volse lo sguardo al soffitto e provò a vedersi in quella situazione. Ecco che la sensazione provata tanti anni prima le tornò vivida, questa volta con connotati inequivocabilmente sessuali. L'eccitazione le prese lo stomaco, ma la trattenne cercando di non farsene accorgere dal dottore. - Credo che per ora possa bastare. Ci vedremo in seguito e ne riparleremo. Il Dott. Hackenberg accomiatò Marta che prese un appuntamento per la settimana successiva. Mentre rincasava, non riusciva a liberarsi dall'eccitazione mente le tornava alla mente un'immagine: sdraiata sulle ginocchia di Stefano, piena di vergogna aspettava che lui la sculacciasse. Ma non osava pensare (o sperare?) che ciò potesse realmente succedere.
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La settimana seguente Marta tornò dal Dott. Hackenberg. La seduta questa volta fu breve. Il dottore, seduto alla scrivania, l'aveva fatta accomodare sulla poltroncina di fronte a lui. - Ho pensato al suo caso, Marta. Se lei è d'accordo, vorrei parlare con Stefano per capire qualcosa di più sui vostri rapporti. Ma se non lo ritiene opportuno... Marta rimase sorpresa. Che il Dott. Hackenberg volesse svelare a Stefano la storia che lei gli aveva confidato?
- No. Niente di tutto questo. Ovviamente non posso rivelare l'oggetto delle sedute. Le domande che farò a Stefano saranno personali e mi seviranno solo per poter comprendere meglio come aiutarla. Si alzò dalla poltrona e si diresse verso la porta. - Dirò alla mia segretaria di fissare un appuntamento con Stefano. Dopodiché ci vedremo ancora.
Stefano aveva conosciuto il Dott. Hackenberg tempo prima, quando aveva accompagnato Marta ad una seduta. Era stata una breve presentazione ed al dottore servivano più elementi per comprendere chi era Stefano e quali erano i suoi comportamenti e sentimenti nei confronti di Marta. Stefano e il dottore fecero una lunga chiacchierata, quasi informale. Niente lettino - non era lui il paziente. Attento alle parole del suo interlocutore, il Dott. Hackenberg prendeva appunti. Carattere sensibile, uomo quasi all'antica, galante, di quelli che preferiscono discussioni pacate, senza alzare la voce, Stefano non era certo il tipo di uomo che avrebbe alzato le mani sulla propria donna e, probabilmente, neppure sui figli, se ne avesse avuti.
- Dott. Cerri - concluse il Dott. Hackenberg. - Stefano, la prego - lo interruppe Stefano, per agevolare una certa confidenza. Il Dott. Hackenberg sorrise. - Va bene: Stefano. Vorrei chiederle un'ultima cosa. Lei ritiene che certi atteggiamenti aggressivi di Marta abbiano lo scopo di voler provocare in lei qualche reazione? - Be', non cia avevo mai pensato. Quando Marta è nervosa, la lascio sfogare. Poi le passa e tutto torna come prima. Lei crede che invece lo faccia apposta? - Ritengo di sì. Marta ricorre all'aggressività in più occasioni, ma quando lo fa con lei potrebbe essere una richiesta di coinvolgimento. Provi a pensare a certe reazioni di Marta. Alcune non le sembrano esagerate?
- Effettivamente, in alcuni casi non c'è motivo che mi risponda male. Talvolta rompe anche degli oggetti e poi rimane a guardarmi, immobile, come se si aspettasse qualcosa. Ma, come le ho detto, io non replico. Sbaglio?
- Certamente lei agisce secondo il suo carattere, Stefano. Tuttavia, in una relazione bisogna venire incontro al partner e comprenderne azioni e reazioni. Questi atteggiamenti possono anche nascondere una sessualità mal espressa. Voglio consigliarle una lettura. Potrà ricavarne alcuni spunti per riflettere. Il Dott. Hackenberg scrisse l'autore e il titolo del libro dietro al proprio biglietto da visita e lo porse a Stefano. - La prossima settimana riceverò nuovamente Marta. Nel frattempo rimaniamo in contatto. E non esiti a telefonarmi se avesse bisogno di qualche consiglio o chiarimento. Si strinsero la mano e Stefano si avviò all'uscita, tenendo nella destra la sua porta documenti e sul braccio l'impermeabile.
Il mattino seguente, Stefano pregò la sua segretaria di procurargli il libro che il Dott. Hackenberg gli aveva consigliato. Se lo ritrovò sulla scrivania nel pomeriggio. Cominciò a leggerne distrattamente alcune pagine. Era in inglese, ma per lui non era un problema: parlava correntemente tre lingue. Anche Marta sapeva un po' d'inglese, per cui il dottore lo aveva anche pregato di non mostrarle quel volume, almeno per il momento. Così Stefano, uscito dall'ufficio, si recò al Billy Bar dove era solito prendere un aperitivo. Si sedette al tavolino preferito e ordinò. Iniziò la lettura, un po' svogliatamente. Tra un sorso di Margarita ed una patatina, cominciò ad interessarsi a quello che leggeva. Aveva bisogno di qualcosa di più forte. Un doppio wisky faceva al caso suo. Gli si stava aprendo un mondo che non conosceva affatto. Scritto da un illustre psicanalista, il libro trattava con pedanteria scientifica delle più comuni fantasie sessuali, narrando qualche esperienza diretta dei pazienti dell'autore. Ad un certo punto la sua attenzione fu attratta da un particolare argomento. Si parlava di una sorta di masochismo, non una vera e propria perversione, ma di una forma di eccitazione data da lievi pene corporali che alcune donne immaginavano di voler ricevere dai propri compagni. Stefano leggeva attentamente. Sapeva delle perversioni, ma non credeva che donne assolutamente normali desiderassero essere percosse e talvolta persino legate per provare la sensazione di un dolore, lieve o forte che fosse. La trattazione continuava col racconto di una paziente che aveva una ricorrente fantasia sessuale.
Stefano lesse attentamente: <<la mia paziente, che chiamerò G., faceva spesso questa fantasia. Nel masturbarsi, G. immaginava che durante un amplesso col proprio compagno lui la faceva inginocchiare obbligandola a a fare del sesso orale. G. gli ubbidiva ma il suo compagno non era soddisfatto. Allora, G. immaginava che lui per punirla la facesse sdraiare su uno sgabello e cominciasse a sculacciarla, punendola per non essere capace di "lavorare bene con la lingua". A questa immagine G. si eccitava. Poi immaginava che il compagno si fermasse per farle riprendere il rapporto orale e che lei, allora, facesse apposta a non soddifarlo per essere nuovamente sculacciata. La fantasia continuava, con immagini diverse di percosse a mano aperta, con la spazzola o con altri strumenti, finché G. raggiungeva l'orgasmo. Nella vita reale, G. aveva l'abitudine di provocare il suo compagno nel tentativo di riprodurre la situazione immaginata, ma senza risultati. Il passo successivo fu quello di confidare al compagno la sua fantasia. I rapporti migliorarono notevolmente perché iniziarono un gioco delle parti in grado di soddisfare entrambi: prima del rapporto, G. indossava un vestitino corto e delle mutandine bianche, quindi iniziava a fare dei dispetti al suo compagno; lui la sgridava, la prendeva di peso facendola sdraiare bocconi sul letto. Le alzava il vestito e le dava dieci leggere sculacciate, poi le chiedeva di prenderlo in bocca. Quindi la sgridava ancora e questa volta la sculacciava più forte dopo averle abbassato le mutandine finché lei raggiungeva l'orgasmo. Seguiva il rapporto completo con soddisfazione di entrambi. Questo faceva superare a G. l'innata repulsione per il rapporto orale, procurandole nel contempo il massimo del piacere>>.
Stefano richiuse il libro, gurdandosi in giro, come se temesse di essere osservato. Nel bar non c'era più nessuno. Era tardi e Marta si sarebbe certamente arrabbiata per il ritardo. Era ora di rincasare.
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Passò qualche giorno. Marta e Stefano avevano fatto l'amore la sera prima e, come sempre negli ultimi tempi, non era stato affatto entusiasmante. Stefano aveva finito di leggere il libro. Si chiedeva cosa avrebbe potuto trarre da quello che c'era scritto. Seduto nel suo ufficio, stava terminando di redigere un rapporto che gli aveva richiesto più tempo del previsto. Erano ormai andati via tutti, tranne Giacomo, l'inserviente che a quell'ora cominciava a rimettere in ordine i corridoi. - Dott. Cerri, ancora qui?
- Cosa vuoi, Giacomo: il lavoro è lavoro. - gli rispose Stefano mentre riponeva gli ultimi fogli nel cassetto.
- Vuole che le porti un caffè? - No graze, devo correre a casa. - ...altrimenti la sua signora si arrabbia - concluse idealmente Giacomo con una risata. Stefano sorrise. - La signora Carla non si arrabbia quando lei ritarda?
La signora Carla era la moglie di Giacomo. Una donnina esile che ogni tanto aiutava il marito nelle pulizie extra degli uffici.
- Oh, certo che si arrabbia, ma io ho i miei sistemi - ripsose Giacomo, con aria di compiacimento.
- Quali sistemi? - chiese distrattamente Stefano, indossando l'impermeabile.
- Deve sapere che mia moglie comanda, comanda sempre.
- Non si direbbe, a vederla - osservò Stefano mentre riponeva gli occhiali nella custodia.
- E io mi prendo la rivincita. Una buona battuta ogni tanto... Stefano si arrestò e guardò allibito l'ometto.
- Giaocmo! Ma cosa sta dicendo? Lei picchia sua moglie? E lo dice pure con disinvoltura! Giacomo esplose in una risata. Era un uomo piccolo e tarchiato, sulla cinquantina, con un viso bonario e degli occhi neri vispi che la calvizie rendevano ancora più grandi.
- Ma no. Cosa crede? Continuo solo l'opera iniziata da mio suocero. Stefano era perplesso. - Quando mi sposai - proseguì Giacomo, - mio suocero, buon'anima, mi disse: "Ricordati Giacomo: quando Carla fa le bizze rimettila al suo posto con una buona sculacciata. Io l'ho fatto per anni e ho sempre ottenuto rispetto e obbedienza". Ed eccomi qui.
- Non vorrà dirmi che lei sculacia sua moglie ancora adesso? - Chiese con un mezzo sorriso Stefano, sempre più stupito.
- Che c'è di strano? E poi non le faccio mica male: una buona dose di pacche sul sedere a mano aperta non possono solo che ricordarle come si deve comportare e poi - aggiunse sollevando gli occhi al cielo e appoggiandosi al manico della scopa- è come ritornare giovani.
Stefano si mise a ridere. L'immagine di quell'ometto pacioccone che infieriva sulle natiche dell'esile consorte era buffa. Non avrebbe mai creduto che una persona di quell'età potesse indulgere a questa sorta di punizione, solitamente riservata ai bambini. Mentre tornava a casa, ripensò a quanto gli aveva detto il Dott. Hackenberg, al libro ed alle parole di Giacomo. Pensò alle reazioni esagerate di Marta che volevano essere delle provocazioni. Ma cosa volevano provocare? Cominciò a immaginare cosa sarebbe potuto accadere se lui avesse deciso di reagire. Sgridarla? Sculacciarla addirittura? Era possibile che Marta desiderasse proprio questo? Mentre guidava pensava a come avrebbe potuto capire se la sua intuizione fosse esatta. E se non fosse stato così? Avrebbe compromesso ulteriormente il rapporto? Si ripromise di telefonare al Dott. Hackenberg il giorno seguente. Era meglio chiedere un consiglio.
***
La mattina seguente Stefano entrò nel suo ufficio. - Chiara, può lasciarmi per qualche minuto da solo, per favore? - chiese alla segretaria.
- Non c'è problema. Intanto vado a fare queste urgenti fotocopie. Stefano alzò il ricevitore e compose il numero dello studio del Dott. Hackenberg.
- Ah, Stefano è lei. In cosa posso esserle utile?
- Vengo subito al punto, dottore. Credo di aver capito cosa vuole da me Marta. Ma siccome non ne sono certo, non so se farei bene ad agire. E poi non saprei da cosa cominciare.
- Ho visto Marta l'altro giorno. Sta facendo qualche miglioramento ma è solo lei che può aiutarla veramente. Mi spieghi di che si tratta e vedrò se posso darle qaulche consiglio. Stefano spiegò brevemente cosa l'aveva colpito del libro e riferì la chiacchierata con Giacomo.
- Diciamo che lei è molto vicino alla verità, Stefano.
- Allora è proprio questo che vuole Marta?
- Non è possibile determinare se lo vuole veramente o se desidera solo che interpretiate una sceneggiata. Comunque c'è un solo modo per accertarsene. L'importante è non essere aggressivi. Le darò qualche indicazione. Il Dott. Hackenberg suggerì a Stefano il comportamento da adottare, in modo tale che in ogni momento la messa in scena potesse fermarsi se Marta non avesse voluto proseguire oltre. Stefano ascoltò attentamente.
- L'unica cosa che deve rammentare è che prima Marta la deve provocare. E' come un segnale, senza il quale si rischia di uscire dal seminato.
- Seguirò i suoi consigli. Grazie ancora. La giornata trascorse rapidamente, fra carte e telefonate. Stefano si sorprese nel rendersi conto che provava una certa eccitazione nel dover mettere in pratica la messa in scena che aveva concordato col Dott. Hackenberg. Allora perché non dare una mano al caso? In ufficio c'era molto da fare, così decise di trattenersi oltre l'orario di chiusura. Marta avrebbe avuto certamente a ridire sul ritardo e forse avrebbe reagito male. Quale occasione migliore? Stefano pensava anche che se avesse aspettato a mettere in pratica la "terapia" forse non ne avrebbe avuto più il coraggio. Prima di rincasare, passò al Billy Bar. L'eccitazione si fece maggiore. Come un bambino che aspetta di aprire il regalo ancora incartato, Stefano prese la strada di casa. "Spero proprio di non sbagliarmi" pensava. Era molto innamorato e non avrebbe certamente voluto che si creassero nuovi problemi. Marta intanto cercava di tenere la cena in caldo. Era nervosa e pronta a dirne quattro a Stefano che non l'aveva avvertita del ritardo. Si sedette sullo sgabello della cucina, giocando nervosamente con il bicchiere. Si versò un po' di birra e la bevve d'un fiato. Il tempo passava e Stefano non arrivava. Finì la birrà e ne aprì un'altra bottiglia. Sapeva che Stefano non voleva che bevesse prima di cena; diceva che la rendeva più nervosa del solito. E allora? Finalmente udì la chiave girare nella toppa. Si alzò di scatto e si affacciò sulla porta della sala, incrociando le braccia.
- Allora? - lo apostrofò acida.
- Non mi saluti nemmeno, amore? - chiese Stefano, mentre posava valigetta e impermeabile.
- Sempre in ritardo. Bella roba! - Lo guardava storto, come se avesse fatto chissà quale disastro.
- Capita, sul lavoro.
- Quel lavoro di merda...- disse ancora più acida, dirigendosi verso la cucina. Stefano la raggiunse e l'afferrò per un braccio.
- Come hai detto? - la riprese con tono severo. Marta si voltò di scattò, guardando prima il braccio e poi gli occhi di Stefano.
- Ho detto che il tuo è un lavoro di merda! - gli disse fra i denti.
- Aspetta un momento!- Stefano la prese per mano e se la portò dietro, a sedersi sul divano. - Siediti e parliamone.
- Di che dovremmo parlare?
- Innanzitutto di come ti comporti. Lo sai che sei proprio antipatica, quando fai così? E poi hai anche bevuto prima di cena. Lo sai che non voglio. Marta lo gurdò stupita.
- Antipatica?
- Direi che sei proprio una ragazzina insolente. Lo sai cosa sto pensando? Marta lo guardò incredula. Non era mai successo che Stefano reagisse alle sue aggressioni. Cosa voleva dire? - Sto pensando che è ora di finirla. Credo che ti meriti una bella lezione. A Marta si gelò il sangue. Forse Stefano voleva solo sgridarla. Ma perché tutti quei discorsi? Che aveva in mente? No, non poteva essere! Lui si stava rimboccando le maniche della camicia. Stefano osservava le reazioni Marta: era immobile e non accennava ad allontanarsi.
- Sdraiati sulle mie ginocchia, Marta. - le disse con voce ferma e paterna.
- Sei...sei impazzito? - Marta sbarrò gli occhi. Allora era vero: Stefano aveva deciso di agire! Era terrorizzata ma non desiderava scappare.
- Qui, sulle mie ginocchia - ripetè Stefano, prendendola per le spalle e sistemandola per la punizione.
- Cosa vuoi fare? - chiese Marta, con un filo di voce.
- Quello che avrei dovuto fare da tanto tempo. Ti darò tante di quelle sculacciate che non potrai più sederti per un mese! - La sua voce era calma e severa, ma non arrogante né aggressiva.
- No..Non voglio! - si ribellò Marta. Ma era una ribellione debole e Stefano non credette di doversi fermare. Marta sentì quella strana eccitazione che aveva già provato da bambina e che aveva rivissuto nel racconto fatto al Dott. Hackenberg.
Stefano le sollevò il vestito e le abbassò i collant e gli slip. L'eccitazione di Marta cresceva ed anche la paura. Mentre Stefano la teneva ferma in quella posizione, Marta provava un grande senso di vergogna.
- Lasciami - mugolò. - Lasciami stare!
- Non credi di meritare una punizione? - No...No...lasciami andare - ripetè con un filo di voce.
- Te lo chiedo ancora una volta: non credi di meritarti una punizione? Marta rimase un attimo in silenzio. Era sempre più eccitata. Poi, singhiozzando rispose:
- Sì, me la merito. Stefano alzò la mano e attese un istante, che a Marta sembrò un'eternità. Poi arrivò la prima sculacciata, così sonora che rieccheggiò per tutta la stanza. Marta non emise neanche un lamento. Singhiozzava sommessamente.
- Ti sculaccerò per bene - diceva Stefano mentre la sua mano colpiva ripetutamente il bel culo di Marta. - Cosa si prova ad essere sculacciate? E tre...e quattro...e cinque... Marta continuava a singhiozzare. Non era per il dolore, perché Stefano non lo faceva con cattiveria. Era più per la vergogna di trovarsi col sedere per aria, completamente indifesa fra le mani del suo uomo. L'eccitazione continuava a crescere. Stefano continuò a sculacciare quel bel sedere per diversi minuti E intanto continuava a contare. - Dieci...undici...insolente...dodici...maleducata...tredici... Le diceva che anche in futuro l'avrebbe sculacciata ogni volta che si sarebbe comportata male. - Sedici...diciassette...te ne meriti almeno trenta...diciannove... Marta si lasciò andare completamente. E mentre esploeva in un pianto liberatorio, raggiunse anche un orgasmo così intenso che se ne accorse anche Stefano. Lui si fermò e, tenendola in quella posizione, prese ad accarezzarle il sedere ormai arrossato.
- Allora, Marta - le disse dolcemente - hai imparato la lezione?
- Sì - rispose lei con un filo di voce. Stefano la girò verso di lui e le sorrise. - Ti amo, Stefano, ti amo tanto - gli disse fra le lacrime e buttandogli le braccia al collo.
- Anch'io ti amo - le fece eco Stefano, sottovoce. - Non puoi immaginare quanto. Per questo, ogni volta che ne avrai bisogno, ti metterò sulle mie ginocchia e ti sculaccerò come meriti. Capito? - Le sorrise, accarezzandole i capelli. Marta aveva capito. Quella sera fecero l'amore come non facevano più da tanto tempo. Una, due, tre volte. Era così bello aver ritrovato il piacere di possedersi che Marta si dimenticò del lieve dolore che le avevano procurato quelle sculacciate. Il mattino dopo, Stefano uscì di buon'ora. Rpensava alla sera prima. Non pensava che quel gioco sarebbe stato così eccitante. Gli ritornava alla mente il bellissimo sedere arrossato di Marta. Era la prima volta che pensava fosse "bellissimo". Marta si guardò allo specchio. Le sue natiche non erano più arrossate.
Allora era questo che si prova ad essere sculacciate? Be', pensò, un po' di ribellione ogni tanto sarebbe valsa la pena. E che pena! |
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