Aloisa

spanking marinaro

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    spiacente.. ma non è nuovo, molti di voi l'avranno già letto, dentro il Decamerino.
    Ma, stimolato dall'ultimo racconto spin-off di Caeli, sono andato a rivederlo e mi è parso degno di una collocazione a se stante.
    Insomma, rieccolo.


    ALOISA




    Quella mattina suo padre le annunciò il nome del suo prossimo marito.

    Lei non fece alcun cenno di ribellione: sarebbe stato peggio che inutile. Nemmeno sognarsi di rispondere che mai avrebbe accettato di destinare la sua vita futura a quell’untuoso mercante di stoffe: sarebbe allora stata rinchiusa in casa fino al giorno delle nozze. Ma Aloisa aveva altre idee sul proprio futuro.

    Quante volte era rimasta seduta per ore su una bitta del porto, ad osservare le navi: l’approdo, lo scambio delle merci, e la ripartenza; quest’ultima, soprattutto. Il beccheggio sperimentato sulle gondole, il sapore salato degli spruzzi, la linea dell’orizzonte che lasciava immaginare un mondo sconfinato, insomma sentiva come il suo destino fosse sul mare e non a fare la moglie/madre/servetta.. no. Proprio no.

    Perciò si era preparata all’evenienza: recuperò dal fondo di un baule il fagotto che da tempo aveva approntato, e, annunciando di andare a lezione di danza, uscì e si diresse verso il sestriere di San Polo. Oltrepassò il Ponte delle Tette e si inoltrò nel Rio delle Carampane, dove già era in contatto con una delle “lavoratrici” del settore. Trovatala, estrasse dalla sacca un pettine ed un paio di forbici e lasciò che la donna le sciogliesse i capelli agghindati, tagliandoli poi corti di foggia maschile. Si spogliò quindi, facendosi comprimere il seno (invero non molto generoso) con una larga fascia di tela, ed indossò i consunti vestiti da marinaio che si era procurata, lasciandoli in deposito alla donna. La quale si tenne suoi vestiti eleganti come ricompensa per il suo impegno (e come pegno del suo silenzio). Nella sacca le rimasero un ricambio di vestiti, un coltello e una piccola somma che era riuscita a mettere da parte.

    Un pubblico traghetto la trasportò fino a Malamocco, il porto commerciale dell’epoca, dove incontrò un intermediatore, che le era stato indicato come meno ladro degli altri. Questo la squadrò un po’ incuriosito ma, incoraggiato da una cospicua mancia, non ebbe difficoltà a trovarle un imbarco su una nave in partenza. Lei ovviamente diede un nome di fantasia (Bepi Savron), per il quale non le venne richiesto alcun documento.

    Si recò allora al molo che le era stato indicato, e individuò subito la nave in questione: si trattava di una Cocca Anseatica, una nave da trasporto lunga 35 braccia (circa 24 metri, NdA), un bialbero a vele quadrate, tozza ma robusta ed adatta al commercio; attirò l’attenzione del Nostromo che, sul ponte, dirigeva le operazioni di carico.

    “Oh, finalmente!” disse quando lei gli esibì la carta d’imbarco. “Siamo quasi in partenza, temevo di dover partire a equipaggio ridotto. A vedere la tua pelle chiara e le tue mani senza calli direi che non hai molta esperienza di marineria, giusto?” “Ehm.. sì, giusto, ma sono uno che impara in fretta” rispose lei, ricordandosi appena in tempo di articolare la frase al maschile. “Non importa, imparerai; tanto all’inizio non è la competenza che ti verrà richiesta. Fra poco partiamo, stasera ti presenterai al Capitano. Ora dai una mano agli altri a caricare.” Lei ringraziò, e, domandandosi cosa avesse inteso con quella frase, si inserì nella catena umana che stava stivando un carico di stoffe pregiate, facendosi apprezzare per l’energia che impiegava.

    In meno di un’ora, l’operazione ebbe termine e la nave, mollati gli ormeggi e ben governata da un equipaggio affiatato, uscì dalla laguna e si diresse in mare aperto. Aloisa, accarezzata dalla brezza marina, sentiva il cuore battere a mille per l’eccitazione: fino a quel momento, forse per scaramanzia, non aveva voluto realizzare la grandezza del passo che aveva compiuto. Un salto senza possibilità di ritorno.


    La sera, dopo che il cuoco di bordo ebbe distribuito un’innominabile sbobba (ma lei non sentì minimamente la mancanza delle insipide pietanze che a casa le venivano propinate), gli uomini si distribuirono sul ponte: uno ad uno, vennero convocati dal Capitano nel castello di poppa dove aveva il suo alloggio. Lei ne fu l’ultima, evidentemente era in fondo alla lista. Abbastanza logico per l’ultima arrivata. Anzi, l’ultimO arrivatO. Devo abituarmici, pensò.

    Venne finalmente il suo turno, e si trovò davanti ad un uomo sulla quarantina, asciutto e robusto, con uno sguardo penetrante. “Bene bene”, disse lui, “è il tuo primo imbarco, vedo.” “E’ vero, Capitano, sono alla prima esperienza. Ma imparo in fretta, glielo assicuro.” “Sarà meglio. Hai ben presente qual’è la tua qualifica?” “Ehm.. no, non ho qualifiche particolari. Marinaio semplice, immagino”. Il viso del Capitano si aperse in un largo sorriso. “Non lo sai? Allora l’intermediatore ti ha giocato un bel tiro”. Prese il giornale di bordo, dove su fogli di pergamena era listato l’indice dell’equipaggio, e girandolo verso di lei puntò l’indice sull’ultimo nome della lista: <bepi Savron - Mozzo da culo>.

    (NdA: “Mozzo da culo” era una qualifica ufficiale nella marineria veneziana dell’epoca, come si può tuttora verificare nell’organigramma di un veliero, esposto al Palazzo Ducale)


    Eloisa restò senza parole, imparpagliata. “Ti vedo interdetto”, continuò lui. “Fammi spiegare allora. Le femmine non sono ammesse a lavorare sulle navi, questo soprattutto ad evitare gravidanze che menomerebbero l’organico. Ma gli uomini hanno i loro impulsi incontenibili, e potrebbero soddisfarli solo unendosi tra loro, cosa vietata dalla morale corrente, e/o frequentando le prostitute nei porti di approdo, esponendosi a brutte malattie. Allora un giovane viene imbarcato, anche su navi piccole come questa, a fare le veci di un essere femminile; non c’è nulla di cui vergognarsi, molti di questo stesso equipaggio hanno cominciato così, imparando nel contempo il mestiere, e venendo pian piano rimpiazzati dai nuovi venuti.“

    Lei era sempre attonita, senza parole. “Bene, comunque ormai ci sei,” continuò il capitano “inutile por tempo in mezzo. Vediamo la mercanzia”. Si pose di fronte a lei e con un gesto le calò alle caviglie i bragoni da marinaio. Lei non ebbe la prontezza di reagire, fu quindi la volta di lui di restare allibito, a vedere esposto il suo sesso femminile.

    Ma non durò a lungo. “Piccola stronza! Quanto a lungo pensavi di imbrogliarci facendo il maschietto tra i marinai? Ma non credere di cavartela così” disse afferrandola per un braccio e piegandola contro il tavolo, le braghe sempre calate. Si sfilò il cinturone e cominciò a batterla sulle natiche, che presto si riempirono di strisciate rosse e bluastre. Lei aveva già esperienza di punizioni del genere, da parte della matrigna, ma questa le sopravanzava tutte come forza e intensità. Ma si sforzò di non reagire né di urlare, limitandosi a dei deboli singhiozzi ad ogni colpo che la raggiungeva.

    “Ma oramai ci sei, e per tutto il viaggio farai quello che prevede il tuo contratto!” disse lui cessando di battere quello che ormai aveva l’aria di un mappamondo istoriato di isogone. Prese da un orcio dell’olio da lucerna e con quello la unse nella fessura tra le natiche. “Che tu sia una donna non mi interessa, quello per cui sei stata imbarcata è questo!”, disse sodomizzandola senza altri preamboli. Il suo sedere era praticamente anestetizzato dalle frustate, e lei quasi non se ne accorse, fino a quando sentì gli spasmi finali del suo rapporto.

    “Sarai punita a questo modo tutte le sere, e nel frattempo sarai a disposizione dell’equipaggio; oltre a fare tutti i mestieri di competenza di un mozzo. E ora vattene, corri nel tuo alloggiamento. La sveglia è all’alba!” Lei non si fece pregare e, tiratasi su le braghe, corse sottocoperta dove l’attendeva l’amaca che già prima le era stata indicata dal nostromo. Gli altri marinai, quelli non di turno, russavano sonoramente, esausti dalla giornata di carico e scarico.

    Solo allora si abbandonò ad un pianto irrefrenabile, fatto di singhiozzi che inghiottiva per non farsi sentire. Il sedere le doleva, sia dentro che fuori. Tutti i suoi sogni, le sue aspettative, ed ora questo. La sua vita era rovinata, finita. Meditò di approfittare dell’oscurità per gettarsi in mare e farla finita.

    Ma pian piano, il lento cullare della nave, lo sciabordìo delle onde, l’odore di salso e lo scricchiolìo del fasciame calmarono il suo spirito. “Sono in mare, dopotutto, quello che avevo sempre desiderato. E anche se non è il lavoro che mi aspettavo, è quello che al mio posto avrebbe fatto un ragazzo. E quello che può fare un maschio, POSSO FARLO ANCH’IO!”, disse tra sé e sé, prima di addormentarsi.

    La mattina seguente, il Capitano aveva già informato i suoi uomini della situazione, vietando tassativamente di usare delle sue parti femminili, e stabilendo dei turni per il resto; per non comprometterne la funzione, decise per un approccio graduale, con due turni giornalieri che col passare dei giorni divennero tre, poi quattro, cinque..

    Lei, richiamata dell’avente diritto, si chinava su una botte, secondo l’uso marinaresco che le era stato indicato, ed offriva il suo posteriore allo svago del marinaio di turno. In meno di una settimana, ebbe modo di “fare conoscenza” di tutto l’equipaggio (una ventina di uomini), che la presero a benvolere, anche perché non si sottraeva ai suoi doveri di mozzo, che all’inizio si limitarono allo spazzare i ponti e lucidare gli ottoni, ma in breve tempo apprese come avvolgere le cime, tendere le sartìe, regolare i matafioni di terzarolo.. alcune volte fu anche mandata sulla coffa ad avvistare eventuali altre imbarcazioni (Il capitano manteneva una rotta che avrebbe dovuto tenerli al riparo dai pirati, ma non si poteva mai sapere..)

    La sera, prima della ritirata, aveva appuntamento fisso con il Capitano che, come annunciato, la puniva per la sua trasgressione (con la cintura ma di cui, presto, prese il posto una più accomodante sculacciata a mano nuda), prima di prendersi il suo “turno”, indiscutibilmente riservato all’autorità di bordo.

    Aloisa, che ormai a questi atti aveva fatto l’abitudine, viveva la situazione come vagamente mitologica: una donna che voleva farsi uomo ma che veniva usata come un uomo che fungeva da donna.. era l’incarnazione del mito androgino, e questa sensazione la sosteneva nei momenti di sconforto. Fortunatamente, gli uomini dell’equipaggio non si approfittavano di lei al di là dei “turni” e si limitavano ad assestarle energici sculaccioni al suo passaggio, cui ella rispondeva tirando fuori la linguaccia, ma senza mai smettere di sorridere. Ormai erano la sua famiglia.

    Dopo quasi un mese, giunsero senza intoppi al posto di Smirne, dove scaricarono parte del carico (broccati senesi e merletti di Burano) stivando in cambio odorosi barili di spezie esotiche. Gli uomini, terminato il lavoro, sciamarono ad ubriacarsi nelle bettole del circondario, evitando su raccomandazione del Capitano gli onnipresenti bordelli; del resto, avevano avuto ampio modo di sfogare i propri umori: negli ultimi due giorni il Capitano aveva rimosso i limiti ai rapporti con Eloisa, e tutto l’equipaggio aveva festeggiato nel modo che sappiamo; lei, ormai ben rodata, li aveva accolti e ringraziati personalmente uno a d uno.

    Convocata nel castello di poppa, si trovò davanti al Capitano, che sorridendo le porse un tintinnante sacchetto contenente la sua paga. “Ti sei comportata bene”, disse, “per essere alla prima esperienza, e per giunta una donna. Ma ora questa nave ha un lungo tragitto da compiere: Cipro, Creta, Siracusa, Valencia, Marsiglia, e poi Siena e Taranto prima di ripassare per Venezia: più di un anno quindi. Qui posso trovare un rimpiazzo, e conosco vari comandanti che possono farmi il favore di riportarti a casa tua. Ti va bene?”

    “Capitano”, rispose, “io non voglio scendere, non voglio tornare ad una casa che non è più mia. QUESTA nave è la mia casa, e dove andrà lei lì voglio esserci anch’io.” “Ma lo sai che se rimani sarai sculacciata e inchiappettata tutti i giorni? È questo che desideri?” “Sì, Capitano. È questo il mio desiderio.”


    Aloisa imparò in fretta il mestiere di marinaio, e anche quando fu assunta in forma “normale” non si negò a soddisfare, nel modo che conosceva, chi l’attirava personalmente. La sua fama non passò inosservata e, nel mondo dei nobili ed acculturati, anche quando ascese di grado, si parlava di lei come la “semi-virgo”. Nella normale marineria rimase nota invece come “Aloisa Cul-De-Tuti”. Non si sposò mai.



    Nel giro di vent’anni seppe imporsi e fece carriera, fino ad essere, nella seconda metà del 1500, la prima donna a comandare una nave nella Marina Veneziana. Poco prima della battaglia di Lepanto. Ma, questa, è tutta un’altra storia..

    Edited by Zonker - 24/11/2022, 17:56
     
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