Il segretario

Storia di un particolare rapporto professionale

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    Era stata una mattinata frenetica. L’andirivieni fra la tetraggine degli uffici del tribunale con la loro atmosfera cupa, le udienze che un tempo la appassionavano e ora erano diventate una formalità tediosa, l'incontro con clienti sempre più insopportabili con la loro ridicola brama di giustizia per la quale provava sempre meno interesse e i suoni metallici della città isterica ed irrequieta fin dalle prime ore del giorno facevano emergere in lei, latente, un’insoddisfazione profonda per un mondo verso il quale provava sempre meno empatia.
    Contava i minuti che la separavano dal ritorno nel suo caldo ufficio, quando nel pomeriggio avrebbe dovuto dedicarsi come consuetudine allo studio delle varie pratiche e questi gli sembravano interminabili. Era l'unica parte del suo lavoro che ancora le piaceva, non riusciva a ricordare quando tutto ciò era accaduto, ma fuori da quelle mura si sentiva un'estranea.
    Nei primi anni aveva dovuto fare molta gavetta lavorando presso altri studi legali e come ben sa chi ha dovuto sottostare alle dipendenze di qualcuno aveva dovuto ingoiare qualche rospo.
    Era l'unica figlia di una famiglia altolocata, ma fu solo per merito del proprio spirito di sacrificio che riuscì dopo pochi anni, dapprima a scalare posizioni negli studi dove lavorava e infine ad aprirne uno tutto suo. Il suo animo aristocratico, orgoglioso e altero le aveva reso difficile sottostare all'autorità degli altri e tutto ciò era stato un grande monito alla sua affermazione.
    Forse era stato quello e soltanto quello il motivo di tanto affannarsi nella sua ascesa professionale, ciò che le interessava davvero era il potere, i valori etici con i quali aveva ammantato tutti i suoi sforzi non erano che una patina legittimante di un inconscia volontà che oggi si stava rivelando in modo inequivocabile.
    In quegli anni aveva infatti capito una cosa di sé, ovvero che non soltanto detestava ricevere ordini, ma gli sarebbe piaciuto impartirli. Quando fu nella posizione per farlo non solo ebbe la conferma di questa sua vocazione, iniziò a provarne un intenso piacere, non era soltanto soddisfazione, aveva a che fare con qualcosa di più viscerale, era un godimento fisico, evocava fantasie che inizialmente faceva fatica a confessare persino a se stessa.
    La percezione di potenza che le dava essere a capo di qualcuno, il timore e la reverenza che provavano per lei i suoi dipendenti erano soltanto la punta dell' iceberg di una dimensione di piacere infinitamente più grande, se strigliare qualcuno era per lei tanto soddisfacente, chissà, pensava, cosa sarebbe accaduto se avesse potuto punirlo.
    Un'altra cosa che aveva immediatamente appurato era che le medesime dinamiche di potere non sortivano in lei alcun effetto se a subirle era una donna, ma provava invece uno smodato piacere nel sottomettere gli uomini.
    Se un mondo dominato dalle donne era un’utopia, un microcosmo dove lei fosse assoluta padrona capì che era invece realizzabile e iniziò a tessere la sua tela.
    Iniziò ad assumere il personale alle proprie dipendenze con una discriminante, potevano essere unicamente di sesso maschile. Una discriminante paradossale se pensiamo alle sue ferree convinzioni femministe, ma il desiderio di realizzare un piccolo mondo nel quale gli uomini dovevano sottostare al suo volere si mostrò più forte del sentimento di generosità nei confronti del genere femminile. Il suo piccolo contributo alla causa femminista, l'impegno nella secolare lotta per la distruzione della società patriarcale, pensava, poteva essere contenuto nel trattamento che avrebbe riservato ai propri dipendenti.
    La risposta a secoli di prevaricazione che gli uomini avevano imposto alle donne non poteva essere quella di una richiesta di uguaglianza, nella sua concezione il mondo era determinato da equilibri di forza, dominare se non si vuole essere dominati ed era giunta l'era nella quale fossero le donne a detenere lo scettro del potere.
    L'ufficio di Elena era posizionato in una depandendance all'interno di una proprietà piuttosto ampia e un giardino, con un prato ben curato e un paio di betulle lo dividevano dal resto degli uffici, così chi doveva portare ad esempio della documentazione doveva attraversarlo. Una simile disposizione non era molto comoda dal punto di vista logistico, ma non era certo lei a doversi scomodare, inoltre in quel singolare pellegrinaggio fra gli uffici dei suoi sottoposti e il suo lei vedeva un altro emblema del suo potere.
    Quando qualcuno doveva recarsi da lei doveva prima avere il suo permesso attraverso la linea telefonica interna, questo garantiva un’insolita privacy fra le mura di quello strano ufficio.
    Il suo ufficio era adibito come un'abitazione, aveva un bagno con doccia, una biblioteca colma di libri di letteratura classica e saggi di storia, una smart TV di grandi dimensioni e l'abbonamento a una miriade di piattaforme, specie quelle dedicate al cinema d'autore e persino un frigorifero e un forno a microonde, ma soprattutto aveva un divano letto che poteva aprire agevolmente quando decideva di restare lì a dormire.
    Soprattutto quando fuori faceva freddo e lei aveva finito tardi la sera, l'idea di prendere la sua auto e arrivare fino a casa dove non c'era nessuno ad aspettarla l’angosciava, così si faceva una doccia calda, prendeva dall'armadio un pigiama e restava lì a dormire, guadagnando oltretutto del tempo prezioso per svegliarsi un poco più tardi la mattina seguente.
    Insomma, avesse spostato lì la sua residenza, il suo si sarebbe potuto considerare a tutti gli effetti smart working.
    Era severa con i propri dipendenti, ma la sua severità era sempre in controllo e non travalicava mai quel limite che è delimitato dall'abuso del proprio potere, quantomeno in termini legali.
    Il suo segretario, il collaboratore che viveva a suo stretto contatto e svolgeva molte delle sue mansioni all'interno della sua dépendance era diciamo l'eccezione che confermava la regola, il trattamento che riceveva poteva considerarsi da ogni punto di vista un abuso in piena regola, ma anche in quel caso non era frutto di una perdita di controllo, bensì di un accordo consensuale, di una condizione prestabilita fra due persone che l’avevano accettata in piena coscienza.
    Da un punto di vista legale Elena sapeva che tutto ciò non era proprio ineccepibile da un punto di vista legale, ma era almeno certa, per ovvie ragioni, del silenzio di Davide.
    Davide guadagnava più di ogni altro segretario, ma aveva l'onere e l'onore di essere, per Elena, l'epicentro di questa sua vocazione.
    Se in un primo periodo aveva pensato di andarsene e quando parlava del suo lavoro con qualche amico diceva di essere capitato nelle grinfie di una despota, con il tempo aveva iniziato a essere molto più riservato sull’argomento, ciò che non poteva confessare ad altri e faceva fatica ad ammettere persino a se stesso era che aveva iniziato ad assorbire quel ruolo senza che questo avesse a che fare con la necessità o la convenienza che lo avevano inizialmente spinto a stipulare quel particolare contratto, aveva insomma gradualmente interiorizzato un autentico senso di devozione verso una figura che gli sembrava sempre più ammirevole e dunque degna della propria obbedienza.
    Servirla era diventata così la mansione che desiderava svolgere con il massimo zelo, la sua sottomissione una condizione naturale, l'umiliazione e il dolore che lei poteva infliggergli una pena legittima.
    Era diventato insensibile anche allo scherno che nell'ambiente sapeva essersi propagato, sebbene la sua capa cercasse di evitargli quantomeno l'umiliazione pubblica, la sua sudditanza era così palese che alcuni, alle sue spalle, avevano preso a chiamarlo il cagnolino di Elena.
    Non poteva in fondo dargli tutti i torti senonché lui era spesso presente quando gli stessi che in sua assenza lo canzonavano venivano redarguiti dalla sua capa prostrandosi in poco dignitose suppliche per ottenere clemenza.
    Tutto ciò non soltanto generava in lui una certa soddisfazione, ma gli garantiva, in un circolo omertoso, che almeno direttamente, nessuno potesse ironizzare sulla sua condizione.
    Davide aveva imparato a temere il potere di Elena e nel tempo lo aveva ammantato di una piena legittimità, come un suddito poteva riconoscere nel suo Re un essere superiore il cui potere veniva donato da Dio stesso e al quale sottomettersi era un atto doveroso.
    Le mansioni di Davide non erano quelle di un normale segretario, i suoi compiti erano molteplici, doveva sì organizzare l'agenda della sua, possiamo dirlo, padrona, ma doveva occuparsi altresì della pulizia dello studio in tutte le sue stanze, dell'ordine, di servire il caffè quando gli era richiesto, lucidare le scarpe, portare in lavanderia i capi di Elena quando erano sporchi e quando lei decideva di pasteggiare nel suo studio doveva procurare il cibo che gli era stato richiesto, apparecchiare e sparecchiare, servire il pasto e versare l'acqua quando il bicchiere era vuoto, il tutto sapendo che ad ogni imprecisione poteva corrispondere una punizione.
    Elena non pretendeva soltanto che tutte queste mansioni venissero svolte in modo impeccabile, esigeva l'eleganza di un maggiordomo di una grande casata inglese e questo rendeva il compito del suo segretario complesso.
    Davide era stato scelto anche perché era persona di buona cultura e questo lo aveva aiutato nell'avere la predisposizione quantomeno a un linguaggio consono, ma il suo affinamento, ancora abbondantemente in corso, doveva passare inevitabilmente attraverso la sua severa disciplina.
    Quando ad esempio Elena chiedeva un caffè, Davide doveva mettere la tazzina di caffè su un massiccio vassoio d'epoca in argento, versare un cucchiaino di zucchero e mescolare, poi inginocchiarsi accanto alla sua poltrona, e infine dire ”ecco il suo caffè signora” attendendo che lei lo bevesse e quando faceva le pulizie mentre lei era in studio doveva muoversi con passo felpato, pulire minuziosamente riducendo al minimo i rumori senza arrecare disturbo e avere un abbigliamento adeguato, ossia un dress code molto preciso composto da grembiulino blu, pantaloni in tinta e una maglia di cotone bianca a maniche lunghe, tutto naturalmente stirato a puntino.
    Doveva rivolgersi alla sua capa in termini ossequiosi, senza sembrare troppo affettato, stare attento a non essere sgraziato nell'esprimersi ed evitare quegli errori che talvolta si commettono nel linguaggio parlato, ma soprattutto doveva obbedire.
    Davide aveva naturalmente imparato che tutto ciò che usciva dalle labbra di Elena doveva considerarlo il suo Vangelo, ma da una parte era un tipo maledettamente distratto, dall'altra lei, anche solo per puro diletto, sapeva talvolta come trarlo in inganno anche per cose apparentemente banali, gustandosi prima il suo imbarazzo e in seguito la punizione che aveva deciso si sarebbe meritato.
    Le punizioni non erano presenti fin dal principio, ma furono introdotte con il tempo. La prima, Davide la ricorda bene, avvenne quando si dimenticò di registrare un appuntamento per un caso di grande importanza. Il cliente aspettò invano l'arrivo di Elena e naturalmente s’infuriò per il suo mancato arrivo, lei a fatica riuscì ad ammansirlo nella telefonata che seguì e a tenersi il caso. Da professionista scrupolosa qual era l'eventualità di perdere un cliente di tale rilievo per colpa della superficialità di un suo dipendente la faceva fremere di rabbia.
    Rientrò in ufficio così furente che era sul punto di licenziarlo. Davide si inginocchiò e la supplicò di punirlo in ogni modo, ma di tenerlo con sé.
    Fu con un gesto spontaneo che Elena prese una cintura dal suo armadio, una cintura di cuoio marrone scuro piuttosto spessa, afferrò Davide per un orecchio e gli ordinò di abbassarsi mutande e pantaloni e di piegarsi in avanti mentre lo trascinava di fronte alla sua scrivania. Davide restò sbalordito di fronte a quella richiesta, ma obbedì senza fiatare. Il senso di colpa per l'errore commesso, il timore di perdere quello che rispetto alle sue competenze era un cospicuo salario e infine l’autentico terrore che Elena sapeva incutere quando andava su tutte le furie lo spinsero a compiere quel gesto come se fosse guidato da forze estranee alla sua volontà.
    Fu con fare solenne che si slacciò i pantaloni e li abbassò fino alle ginocchia, poi, dopo una piccola esitazione fece lo stesso con i propri boxer bianchi elasticizzati che Elena trovò dozzinali.
    La sua vita da single ormai da tempo del tutto priva di avventure amorose faceva sì che dedicasse poca attenzione al proprio intimo, pensandoci quasi non ricordava l' ultima volta che si era spogliato di fronte a un'altra donna e certamente non aveva mai pensato di farlo in simili circostanze.
    Quando scoprì il suo sedere e per giunta in quella posizione così arrendevole provò un imbarazzo che non aveva mai provato prima, quando assaggiò la prima violenta scudisciata ad esso si aggiunse una certa paura, poi, con il susseguirsi dei colpi provò naturalmente un bruciore alle sue povere chiappe che non credeva possibile.
    Mai si era sentito così impotente di fronte a un'altra persona.
    Elena gli rifilò centocinquanta scudisciate sul culo e ciascuna di esse gli diede un piacere crescente, più il fondoschiena di Davide prendeva colore e più in lei accresceva una sensazione estatica, maggiori si facevano i suoi lamenti soffocati e più intensa diventava la sua voglia di batterlo con vigore.
    Davide ricorda ancora perfettamente le parole con le quali Elena aprì le danze. “È giunta l'ora che io ti dia la lezione che meriti. Non c'è altro modo per farvi capire le cose a voi uomini.
    Vedrai che quando ti avrò fatto il culo viola e farai fatica a sederti avrai modo di meditare sui tuoi errori e finalmente magari imparerai a stare più attento”.
    Lo guardò negli occhi e il suo sguardo assunse una luce che prima non aveva mai visto, c'era senz'altro rabbia, ma quella l'aveva riconosciuta altre volte, c'era anche altro però, come se quella situazione avesse avuto in lei un effetto elettrizzante, un evento atteso da tempo che in quel momento aveva trovato i giusti presupposti per realizzarsi.
    Quando dopo una cinquantina di frustate Davide si voltò con occhi supplichevoli osservando che l'espressione arcigna e rabbiosa che aveva prima visto dipinta sul volto di Elena aveva lasciato il posto ad un sorriso così denso di soddisfazione come se ogni colpo le desse un intenso godimento fisico.
    “Quante frustate hai deciso di darmi?” chiese Davide. “Vuoi dire quante ne meriti? Se stai fermo e non ti muovi mi fermo a centocinquanta perché sono clemente, ma la prossima volta che mi farai arrabbiare non sarò così buona con te. Sono stata chiara?”
    “Sì, signora. È stata molto chiara”
    Dopo cento scudisciate Davide iniziò ad ululare in modo imbarazzante, si aggrappava all'estremità della scrivania con entrambe le mani, stingeva le chiappe inarcandosi un poco in avanti per poi tornare alla posizione precedente con un movimento ondulatorio che a Elena sembrava una danza alla quale lei dettava il ritmo con la sua cintura.
    Elena padroneggiava sempre meglio la sua cinta colpo dopo colpo, si piegava leggermente per colpire il culo del suo segretario perfettamente in orizzontale, la sentiva fendere l'aria e poi schiantarsi con un rumore pieno che premiava la bontà del suo gesto.
    Davide fu sorpreso dal calore che raggiunse il suo fondoschiena durante la lezione che stava subendo tanto che fra un lamento e l'altro disse “come è caldo”, lei, imparando a conoscere il piacere di certe parole rispose “voglio che sia bollente”.
    Elena imparava in fretta e più colpiva e più le sembrava di riuscire a imprimere una maggiore intensità ai propri colpi, ampliando il movimento la sua cinta raggiungeva una velocità superiore e il suono si faceva ancora più pieno.
    “Oh come brucia…sciac…ho il culo in fiamme…sciac…auuu”
    Quando mancavano venti colpi Elena fece una piccola pausa, non per offrire al culo di Davide una tregua, bensì per rifiatare in vista delle frustate finali che desiderava fossero difficili da dimenticare.
    Davide restò in posizione, solo con le gambe leggermente divaricate e accasciato sulla scrivania come esausto, soffiava ed emetteva piccoli lamenti.
    Sentiva i tacchi dietro di lui muoversi fino alla parte opposta della scrivania, poi una mano gli accarezzò dolcemente la testa. “Hai capito cosa succederà d'ora in avanti quando mi farai arrabbiare. Ti educherò con la frusta. Immagino tu sia d'accordo”
    “Sì signora, è quello che merito”
    “Ora ti darò le ultime venti frustate”
    “No, la supplico” si lasciò scappare Davide, ma immediatamente ebbe il desiderio di rimangiarsi le parole e si corresse “si mia signora, mi frusti finché lo riterrà giusto”.
    “Così va meglio, ora metti bene il culo in fuori, così, da bravo”.
    Frustò il culo di Davide con tutta la forza che aveva in corpo, e dopo aver dato anche l'ultimo colpo gli disse “Per oggi abbiamo finito. Ora ti puoi rivestire”.
    Davide, nonostante l'invito, restò ancora qualche istante immobile nella medesima posizione, come se iniziasse davvero a realizzare ciò gli era appena accaduto, poi si portò lentamente le mani sulle natiche massaggiandole delicatamente.
    “Come brucia” disse sottovoce prima di rimettersi lentamente boxer e pantaloni e inginocchiarsi spontaneamente ai piedi di Elena. “Le chiedo perdono” le sue parole parvero sincere.
    L'ira di Elena e il senso di colpa di Davide erano svaniti attraverso quello strano momento di comunione. Entrambi capirono che da quel momento il loro rapporto era cambiato in modo irreversibile, avevano scoperto il potere benefico del contrappasso che una punizione corporale poteva offrire, un segreto rituale del quale sarebbe stato difficile descrivere ad altri l'importanza.
    Prima di alzarsi Davide aggiunse una cosa inaspettata: "Grazie. Mi ha dato la lezione che meritavo. Cercherò di farne tesoro”.
    Il loro rapporto era diventato d'improvviso più intimo, i loro ruoli avevano trovato una definizione più autentica.
    Elena, mossa da un moto di compassione e tenerezza lo strinse a sé.
    “Mi pare di capire che la cosa ti convenga. D’ora in avanti te le darò ogni volta che mi farai arrabbiare e sono certa che la cosa darà i suoi frutti. Adesso alzati, è tardi, è ora di tornare a casa”.
    Davide si alzò, il culo gli bruciava parecchio, ma la tensione generata dal suo errore era svanita e la sua mente era sgombra da cattivi pensieri.
    Prima di salutarsi si scambiarono un ultimo sguardo. Entrambi sorrisero.
    Fra loro era nata una nuova intesa.
     
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    Bravo. Vedo nel futuro del segretario altre cento anzi mille altre volte di intesa.
     
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    Grazie Nena!
    Qualcosa mi dice che nei prossimi capitoli la loro intesa sarà sempre più grande e Davide sarà un segretario sempre più ligio al suo dovere!
     
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    Capitolo 2

    La conversazione

    Durante il tragitto in auto, per sua fortuna breve che lo portava a casa, aveva provato un intenso bruciore al sedere e aveva sperato che durante la notte, passata per ovvie ragioni a pancia in giù, sarebbe scomparso. Fu dunque con una certa sorpresa che si accorse al risveglio che il dolore si era soltanto un poco attenuato.
    Aveva meditato parecchio sulla lezione che gli era stata impartita e il persistente dolore era stato di certo un grande monito alle sue riflessioni. Prima di farsi la doccia, aveva passato qualche minuto a osservare il rossore delle sue povere chiappe che in alcuni punti tendeva un poco al violaceo e risaltavano sulla pelle bianchiccia del suo corpo, aveva notato che alcune scudisciate erano finite un poco sotto il fondoschiena lasciando delle strisce ben definite sulle cosce.
    Ci sono eventi che segnano un punto di non ritorno, limiti che una volta valicati definiscono per sempre le geometrie di un rapporto. Quello appena accaduto era certamente uno di questi.
    Accettando la punizione che gli era stata data Davide aveva conferito a Elena un potere quasi assoluto nei suoi confronti, dal momento che aveva esposto il suo culo nudo ai suoi colpi sapeva infatti che la sua sottomissione sarebbe diventata infinitamente più grande.
    Quella sera Davide, mentre le immagini alla televisione scorrevano senza che lui riuscisse davvero a percepirle, appoggiato su un fianco con il sedere scoperto, realizzava a poco a poco la portata di quell'evento, metabolizzando altresì l'umiliazione che ogni passaggio di quel rituale aveva comportato: svestirsi, assumere una posizione così vulnerabile, guaire sotto i colpi della sua cintura, chiedere perdono dopo aver sentito schioccare l'ultima frustata e infine tornare a casa con quel bruciore al sedere che lo stava costringendo a stare davanti allo schermo in quel modo così grottesco.
    La cosa più strana, pensava, che non riusciva a togliersi dalla testa che se l'era meritate, era convinto che altri avrebbero rifiutato categoricamente di essere puniti in quel modo e avrebbero detto alla loro capa di trovarsi qualche altro culo da poter frustare, lui invece non soltanto si era sottoposto senza fiatare, ma aveva provato un senso di accettazione e quasi di gratitudine quando lei, dopo averlo battuto per bene, gli aveva ordinato di rivestirsi e capiva che quel sentimento aveva a che fare più con la devozione che con la paura che lei sapeva incutergli.
    Una parte di lui ancora in parte sommersa desiderava ardentemente abbandonarsi nelle sue mani, essere guidata, affidandosi a quelle certezze che gli erano sempre mancate e che lei sapeva donargli in cambio del riconoscimento del proprio ruolo, ossia della totale sottomissione al suo volere. Sottomettersi è un profondo atto di fiducia.
    Quando Elena rientrò nello studio trovò Davide già indaffarato a spolverare gli scaffali con uno zelo inconsueto, il pavimento era già stato lavato e tutto lo studio sapeva di pulito. Davide la salutò con più riverenza del solito. Elena sorrise come a dire vedo che la ripassata che ti ho dato ieri sera sortendo già i suoi effetti e Davide abbassò la testa un poco imbarazzato e continuò il suo lavoro.
    “Siediti” gli disse Elena “Ti devo parlare di una cosa”. Davide, che avrebbe preferito ascoltare le sue parole in qualsiasi altra posizione appoggiò lentamente il sedere alla sedia e fece una piccola smorfia.
    Elena sorrise di nuovo.
    “Dobbiamo parlare di quanto è accaduto ieri”. Davide in quel momento pensò che Elena si stesse per scusare, qualcosa del tipo “facciamo finta che non sia successo niente” e in quel momento capì che non era ciò che voleva. Sarebbe inesatto dire che Davide, ansioso di tornare alla posizione eretta, volesse essere punito di nuovo, ma ciò che desiderava era il rapporto che quell'evento aveva plasmato in modo indelebile, come se, paradossalmente, Elena lo avesse elevato, ritenendolo degno della propria attenzione, o come se ci fosse qualcosa di edificante nel subire delle frustate sul culo come contrappasso per un grave errore come quello che aveva commesso, perché l'alternativa era la distanza.
    Davide capiva che in circostanze diverse quel medesimo errore avrebbe generato un carico di tensione e un senso di colpa che sarebbe stato ben più difficile da metabolizzare rispetto al bruciore delle sue natiche. Un'altra cosa che gli sarebbe stata difficile da sopportare era il disprezzo con il quale lei lo avrebbe trattato in seguito, in quel momento invece, nei suoi occhi, vedeva un rispetto che mai era riuscito a ottenere negli anni che era stato al suo servizio, un sentimento che traeva le proprie radici, rifletteva Davide, dal fatto che lui aveva accettato la punizione che gli era stata impartita e con essa il proprio ruolo, ossia la propria sottomissione.
    “Cosa ne pensi di quanto è accaduto ieri?” Esordì Elena.
    “Credo di essermi meritato la punizione che mi ha dato signora” rispose Davide senza bisogno di riflettere.
    “Molto bene, apprezzo il tuo atteggiamento”
    Anche Elena aveva riflettuto molto sull’accaduto, la soddisfazione che aveva provato nel punire Davide si era protratta ben oltre il termine della punizione, sentiva dentro di sé aprirsi le porte verso un universo inesplorato, come se la sua natura dominante avesse trovato finalmente terreno fertile per potersi esprimere. La complicità di quell'atto gli aveva mostrato Davide sotto un’altra prospettiva, non soltanto come un dipendente a volte troppo distratto, ma anche come un uomo che sapeva comprendere la natura del loro rapporto e insomma stare al proprio posto.
    “Ho pensato che dovremmo istituire questo metodo come prassi nel nostro rapporto professionale, credo possa essere molto edificante e attraverso questo percorso, che definirei disciplinare, tu possa migliorare in molteplici aspetti.
    Ogniqualvolta commetterai un errore abbastanza significativo per quelli che sono i miei parametri, avrai un atteggiamento poco consono alla tua posizione, sarai reiterato nelle tue mancanze o mi mancherai del dovuto rispetto deciderò la punizione che ti sarai guadagnato. Qualcosa in contrario?”
    “No, signora”
    “Del resto si sa, che non c'è altro modo per farle capire a voi uomini” aggiunse con un sorriso malizioso.
    “Il mio compito sarà quello di educarti. Sono certa che un giorno mi ringrazierai per i miei insegnamenti”.
    Davide, sempre più succube delle sue parole rispose quasi sottovoce ”Ne sono convinto anch'io”.
    Elena, fu così soddisfatta della sua sudditanza che aggiunse una cosa che non aveva pensato prima “Quando ti riterrò meritevole, e come sai sono una donna molto esigente, potrei darti qualche premio. Ci vuole così poco a fare felici voi uomini. Sono per il bastone e la carota”.
    Davide, improvvisamente radioso, rispose “Farò di tutto per meritarmeli”
    “Fossi in te mi concentrerei prima sul non prenderle, non credere che sarò sempre magnanima come ieri sera. Siamo d'accordo dunque. Ora puoi tornare alle tue faccende, cerca di fare poco rumore che ho delle pratiche molto importanti e mi devo concentrare”.
    Mentre Davide si era già alzato, Elena non riuscì a resistere alla sua curiosità.
    “Fammi vedere le chiappe”
    Davide esitò per la vergogna, poi le scoprì lentamente.
    “Sono ancora belle rosse. Se non righi dritto vedrai la prossima volta come te le concio. Ora rivestiti”.
     
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    Capitolo 3

    Nuovi equilibri

    Nei giorni che seguirono Davide si mostrò molto volitivo, arrivava in ufficio un poco prima del solito, era più attento nella gestione meticolosa dell'agenda di Elena e le pratiche non erano mai state così tanto in ordine. Elena, dal canto suo, lo trattava con maggiore affetto, come se durante la punizione lo avesse conosciuto più a fondo.
    Sì sa però che gli antichi vizi sono difficili da debellare, il bruciore al sedere era via, via scomparso e nonostante Davide volesse dimostrare a tutti i costi quanto la lezione gli fosse servita e magari chissà, meritarsi quei premi che avevano iniziato a generare in lui fantasie sempre più sfrenate, è impossibile riuscire a superare tutti i propri limiti da un momento all'altro, ci vuole pazienza, dedizione, perseveranza e nel caso di Davide, Elena ne era sempre più convinta, sarebbe stato necessario usare la frusta, che era poi per lei l'unico metodo possibile per educare come si deve un uomo.
    Lo spirito con il quale Davide era tornato al lavoro era lì a dimostrarlo.
    Davide, quando la vedeva arrivare nel suo tailleur impeccabile, il trucco appena accennato, poi la leggera scollatura che scopriva un seno magnifico quando indossava qualcosa di più comodo mentre si dedicava allo studio delle pratiche o quando si toglieva le scarpe e mostrava la curvatura sinuosa del suo piede nudo sentiva nascere un desiderio reso ancora più irrefrenabile dal fatto che soddisfarlo sembrava impossibile.
    Non era mai stato un feticista. I piedi di una donna non gli erano mai interessati, quelli di Elena invece, così curati e morbidi che sembravano di seta, lo attraevano tanto che avrebbe voluto accucciarsi per poterli baciare.
    Stava fantasticando proprio su di loro quando suonò il citofono. Il corriere aveva consegnato un pacco. A renderlo curioso non era soltanto la forma lunga e stretta della scatola, ma il fatto che non fosse chiaro il mittente. Poco più tardi ne arrivò un altro, anche in esso, probabilmente pensava Davide per una questione di riservatezza, non riusciva a capire il mittente o avere qualche indizio su cosa potesse contenere e la stessa sorte accadde per il terzo e ultimo della giornata. Qualche volta Elena acquistava qualcosa online, soprattutto perché diceva di non avere mai il tempo materiale per potersi recare in qualche negozio, ma era tutt'altro che una compratrice compulsiva e negli anni che era stato al suo servizio, Davide era la prima volta che vedeva un simile traffico di corrieri nel suo studio.
    La perspicacia non era certo il suo forte.
    Notava da piccoli gesti inconsueti come il dondolio delle gambe e il tamburellare della penna sulla sua scrivania che Elena era quel giorno impaziente di terminare il proprio lavoro. Quando finì tirò un lungo sospiro. Si alzò quasi di scatto per raggiungere le scatole impilate una sopra l'altra accanto alla porta d'entrata, e afferrato un taglierino aprì la prima con un gesto rapido e con l'entusiasmo di un bambino che scarta i regali di Natale.
    Da un involucro grigio in tessuto estrasse una frusta, per la precisione una frusta da equitazione nera, poi un'altra da una confezione rossa semitrasparente.
    Davide le guardò sorridendo e pensando a quanto fosse stato stupido a non pensarci prima. Quest'ultima, anch'essa nera, era una frusta morbida, lunga, composta da un manico rigido e tante piccole cordicelle.
    Elisa afferrò la prima e iniziò a descriverla con il tono di chi ne è esperta, quando era evidente che stava soltanto ripetendo qualcosa che probabilmente aveva letto su qualche blog, ma era così abituata a quel tono altero e un po' saccente che non riusciva ad abbandonarlo nemmeno quando parlava di qualcosa che evidentemente ancora non padroneggiava con la stessa sapienza.
    Davide trovava tutto questo sia buffo che sensuale.
    “Vedi, questa frusta è una frusta da equitazione, ma è utile anche per altri scopi, questa parte finale in cuoio emette un piacevole schiocco quando impatta e permette di essere molto precisi nella zona che si vuole colpire. Quest'altra invece è un grande classico del mondo BDSM, si chiama gatto a nove code, e questi lacci in cuoio che vedi, appunto le code, dicono siano dolorose e possano colpire una superficie più estesa. Davide guardava quelle due fruste con un misto di curiosità e paura, sembravano dolorose in modi diversi, i colpi secchi della prima che avrebbe lasciata impressa sul suo culo la sua lingua e poi quella con le code che sembravano piccoli tentacoli che immaginava si potessero sparpagliare sulle sue chiappe raggiungendo ogni millimetro della sua pelle pungendola ovunque.
    Terminata la presentazione delle prime due fruste, aprì la seconda scatola, dalla quale uscì un lungo bastone, con una curvatura ad una estremità. “Questo è un cane” disse Elena. Poi, con stessa prosopopea aggiunse “questo strumento veniva utilizzato nelle scuole britanniche e si dice sia molto efficace per disciplinare chi non si comporta bene”.
    Lo agitò e lo udì fendere l'aria “una componente fondamentale come vedi è la flessibilità, se questo bastone fosse rigido non sarebbe tanto efficace”.
    Osservò il bastone con profonda soddisfazione “questo è quello che attendevo con più”.
    Dei tre strumenti che aveva presentato era anche quello che a Davide incuteva più paura.
    “Vuol dire che mi bastonerà il culo con quello?”
    “Hai capito bene. Ma solo se non sarai all' altezza delle mie esigenze. Sono io che decido gli strumenti con i quali verrai punito. Hai qualcosa in contrario? Disse Elena sarcastica battendo il bastone sul palmo della mano.
    “Certo che no signora, lei sola può decidere quanto, quando e come punirmi”
    “E anche perché punirti” aggiunse Elena “ma ricordati che non ti punirò mai per il mio solo diletto, se ti farò il culo a strisce sarà perché lo hai meritato”.
    “Un dispotismo illuminato” disse Davide scherzoso.
    “Mi prendi in giro?” rispose Elena che trattenendo il sorriso si finse arrabbiata.
    “No, signora, in un certo senso è la verità”.
    “Quindi ti reputi un mio suddito”
    “Beh, di certo non sono un suo pari”
    Elena era sempre più divertita da quella conversazione, il tono scherzoso talvolta è solo un modo più dolce per dire la verità e aiuta a trovare il coraggio di manifestare ciò che altrimenti resterebbe nascosto e in quel gioco che avevano iniziato la linea di confine del suo potere si stava espandendo.
    Elena spingeva un po' più in là le sue possibilità di dominio, Davide non opponeva resistenza, così queste si consolidavano stabilendo nuovi equilibri.
    “Devo ammettere che sto iniziando ad apprezzare il tuo atteggiamento” proseguiva Elena sempre con il bastone fra le mani. “Certo c'è molto lavoro da fare per educarti fino a diventare un suddito del tutto degno di servirmi, ma almeno sei un uomo che sa stare al proprio posto”
    Davide provava un'eccitazione del tutto nuova, il desiderio sempre più grande di sottomettersi. Nelle passate relazioni non aveva mai conosciuto una donna dominante come Elena e in queste si era sempre mostrato sfuggente, da alcune donne era stato certamente attratto sessualmente, non era sicuro di averle amate, ma si era almeno sentito coinvolto sentimentalmente, per la prima volta però provava il significato della parola venerazione.
    Elena amava questa parola.
    “Allora inginocchiati al mio cospetto” gli disse sempre con quel sorriso malizioso stampato sul volto.
    “Sì, mia signora”
    “Da oggi in poi mi servirai come un vero suddito, la cosa qualche volta sono convinta che ti piacerà. Non sei curioso di aprire l'ultima scatola? È un regalo per te!”
    Elena gli porse la scatola, nella medesima posizione Davide l’appoggiò a terra e l'aprì. Era un perizoma da uomo bianco.
    “Grazie signora” fece Davide imbarazzato “generalmente non porto perizoma, ma è un bel pensiero”.
    “Lo so. Ma lo indosserai ogni volta che deciderò di frustrati. Non mi va di vedere il tuo pene ballonzolare in giro e meno ancora mi va che lo appoggi sulla mia scrivania quando ti metti in posizione per prenderle, ma il culo dev'essere totalmente esposto, così ho pensato che il perizoma fosse la soluzione ideale. In più il bianco risalterà su quel culo bello rosso che ti farò. Ora vai a cambiarti. Fammi vedere come ti sta”. Davide andò in bagno e in un baleno si ripresentò di fronte a lei in perizoma e calzini.
    “Ti sta da favola”. L’ultima volta non lo aveva notato, ma Elena pensò che Davide avesse un gran bel culo.
    “Ora metti tutto nel ripostiglio. Ci vediamo domani mattina. Un' ultima cosa, d'ora in avanti voglio che al mio arrivo mi darai il buongiorno e ti inginocchierai per togliermi le scarpe. Ti converrà non dimenticarlo.
    Ora puoi andare”
    “Grazie signora, non lo dimenticherò.
     
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    Come brucia” disse sottovoce prima di rimettersi lentamente boxer e pantaloni e inginocchiarsi spontaneamente ai piedi di Elena. “Le chiedo perdono” le sue parole parvero sincere.
    L'ira di Elena e il senso di colpa di Davide erano svaniti attraverso quello strano momento di comunione. Entrambi capirono che da quel momento il loro rapporto era cambiato in modo irreversibile, avevano scoperto il potere benefico del contrappasso che una punizione corporale poteva offrire, un segreto rituale del quale sarebbe stato difficile descrivere ad altri l'importanza.
    Prima di alzarsi Davide aggiunse una cosa inaspettata: "Grazie. Mi ha dato la lezione che meritavo. Cercherò di farne tesoro”.
    Il loro rapporto era diventato d'improvviso più intimo, i loro ruoli avevano trovato una definizione più autentica.
    Elena, mossa da un moto di compassione e tenerezza lo strinse a sé.

    che bel racconto F/m ho appena iniziato a leggerlo... complimenti
     
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    CITAZIONE (You… @ 7/2/2024, 21:18) 
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    Come brucia” disse sottovoce prima di rimettersi lentamente boxer e pantaloni e inginocchiarsi spontaneamente ai piedi di Elena. “Le chiedo perdono” le sue parole parvero sincere.
    L'ira di Elena e il senso di colpa di Davide erano svaniti attraverso quello strano momento di comunione. Entrambi capirono che da quel momento il loro rapporto era cambiato in modo irreversibile, avevano scoperto il potere benefico del contrappasso che una punizione corporale poteva offrire, un segreto rituale del quale sarebbe stato difficile descrivere ad altri l'importanza.
    Prima di alzarsi Davide aggiunse una cosa inaspettata: "Grazie. Mi ha dato la lezione che meritavo. Cercherò di farne tesoro”.
    Il loro rapporto era diventato d'improvviso più intimo, i loro ruoli avevano trovato una definizione più autentica.
    Elena, mossa da un moto di compassione e tenerezza lo strinse a sé.

    che bel racconto F/m ho appena iniziato a leggerlo... complimenti

    Sono proprio felice che ti stia piacendo! Grazie davvero!
    Scrivere mi è sempre sembrato un buon modo per indagare nel proprio animo e capire qualcosa in più su noi stessi.
     
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    Capitolo 4

    I piedi di Elena

    Quando la mattina Elena entrò in ufficio Davide non si scordò di accoglierla come era stato pattuito la sera precedente e appena sentì la porta aprirsi appoggiò lo straccio con il quale stava pulendo la libreria per darle il benvenuto.
    Si inginocchiò lentamente, con un gesto teatrale, poi, con grazia, slacciò le sue scarpe da ginnastica viola con delle bande gialle sui lati. Quando non veniva da qualche appuntamento lavorativo o non tornava da qualche tribunale e poteva dunque indossare un outfit informale Elena vestiva spesso in modo sportivo senza per questo sembrare mai sciatta o poco curata.
    Il guardaroba che aveva nel suo ufficio era pieno di abiti eleganti, così da permetterle di indossarli soltanto quando gli impegni lo richiedevano.
    Una cosa che poteva sembrare un po’ stramba, ma che trovava la sua logica nel fatto che lei trattava il suo ufficio proprio come una casa era il fatto che bisognasse togliersi le scarpe una volta entrati, così all’ingresso un mobiletto pieno di pantofole invitava chi entrava a calzarli.
    Elena detestava le pantofole, nei mesi più freddi indossava dei calzini dei quali si liberava non appena il clima si faceva più mite e fu proprio grazie a questo che Davide poté sviluppare per i suoi piedi, che talvolta vedeva spuntare da dietro la scrivania, una vera passione. Elena alzò i piedi soltanto quel poco che bastava per permettere a Davide di sfilarle le scarpe, poi, visto che ormai eravamo in primavera inoltrata, fu il turno dei calzini. Scoprì i piedi di Elena gradualmente, come per godere di ogni centimetro che veniva rivelato. Il suo idillio non durò molto.
    “Non ti ho chiesto di sbavare sui miei piedi, soltanto di denudarli. Metti a posto e continua a fare quello che stavi facendo”.
    Davide proseguì con le pulizie, Elena non poté fare a meno di notare che era diventato molto più zelante da quando gli aveva dato la sua prima ripassata e tutto ciò non faceva che avvalorare il suo metodo d’insegnamento. Mentre passava lo straccio sulle vetrine del mobile che conteneva le pratiche, vide che l’espressione di Elena si fece più corrucciata di fronte al monitor del suo PC. Prese la cornetta di scatto e dopo qualche istante disse gelida “Manfredi venga qui immediatamente nel mio ufficio che le devo parlare” e riattaccò. In un baleno si udì suonare il campanello. Manfredi, un tizio alto, un po’ smilzo, sulla quarantina, con un eccentrica cravatta azzurra di dubbio gusto entrò nella stanza. Davide lo guardò un po’ di sbieco. I due non si salutarono. “Buongiorno signora” disse Manfredi mentre stava per entrare nella stanza.
    “Si tolga le scarpe, quante volte glielo devo ripetere. Il suo collega ha appena pulito il pavimento e di certo non voglio vederlo imbrattato dalle sue scarpe luride”.
    Manfredi si tolse le scarpe e si mise le ciabatte che trovò all’ingresso. Era ridicolo con il vestito elegante e le ciabatte e parve da subito profondamente a disagio. “Mi è appena arrivata una mail da parte del signor Bianchetti che si è detto profondamente scontento di come ha gestito il suo caso, era una causa molto semplice, conoscendo i suoi limiti del resto sono le sole che potrei delegarle, ma evidentemente l’ho sopravvalutata”. Elena aveva un tono calmo e sprezzante. “Era una causa matrimoniale di poco conto, eppure il signor Bianchetti non poteva uscirne peggio”. Davide osservava compiaciuto la scena quando Elena voltò lo sguardo verso di lui “e tu vai avanti a fare quello che stavi facendo, non stavi pulendo gli scaffali?”.
    “Manfredi lei sparisca”. Da quando era entrato non aveva proferito parola, aveva ascoltato spiazzato le parole di Elena con un’espressione offesa, senza trovare il coraggio di addurre qualche giustificazione e nel giro di una manciata di minuti stava già facendo ritorno nel suo studio.
    “Davide vieni qui” disse Elena appena Manfredi chiuse la porta dietro di sé. “Perché non vai avanti a fare le pulizie quando entra qualcuno? Forse te ne vergogni?”
    “No signora, mi ero un attimo distratto”
    “Sii sincero con me, è una cosa che si ripete ogni volta e non può essere casuale. Io penso che tu ti vergogni a fare le pulizie in presenza di altri. Mi sbaglio?”
    Davide era un tipo che non riusciva a mentire nemmeno riguardo alle cose più banali, ma a indurlo a confessare quel suo disagio era stata l’empatia di Elena, la sua perspicacia lo faceva sentire compreso.
    “Sì, signora, effettivamente mi fa sentire un po’ in imbarazzo fare le pulizie in presenza di altri”.
    “Immagina di entrare in un ufficio e di trovare una donna che fa le pulizie, pensi che la tua presenza la farebbe sentire a disagio?”
    “Penso di no”.
    Elena interrogava Davide con una voce suadente, procedendo con logica ferrea, come se stesse lentamente tessendo la tela nella quale inesorabilmente il suo interlocutore sarebbe caduto. “Vorresti forse sbrigare le pratiche al mio posto?”. La domanda lasciò interdetto Davide che ci mise qualche istante a rispondere “beh, no, non ne sarei in grado”.
    “Dunque dovrebbe essere una questione di merito, o meglio di competenza. Invece qui mi pare si ponga una questione di genere.
    Se è una donna a fare le pulizie nessuno nota nulla di strano, per un uomo invece la cosa è degradante”.
    “Ha ragione signora, forse inconsciamente provo questo. Credo dipenda molto da come gli altri vedono questa cosa”.
    “Su questo punto ti do ragione. Sei succube del retaggio patriarcale del quale è intrisa la nostra società. Ma tu vuoi liberarti, non è vero, di convinzioni così primitive?”
    “Si, mia signora”
    “Verrai educato ad avere più rispetto della donna e mi ringrazierai di averti reso una persona più sensibile”.
    A quel punto Davide pensò che Elena sarebbe andata a prendere le sue nuove fruste nel ripostiglio per dargli una lezione, invece disse “vado a fare una corsetta, ho voglia di una boccata d’aria. Per pranzo voglio che mi ordini un’insalata, sempre che il tuo orgoglio maschile te lo consenta”.
    “Lo farò signora”.
    Elena tornò dopo un’ora e mezza, aveva il fiato corto. Davide gli tolse immediatamente scarpe e calzini. I suoi piedi erano madidi di sudore.
    Sì sedette su una poltrona posizionata proprio accanto all’ingresso e dopo aver ripreso un po’ di fiato disse “vedo che ti piacciono i miei piedi”.
    “Ha dei piedi meravigliosi signora”.
    “Allora leccali”
    “Sono molto sudati, io…”
    “È esattamente per questo motivo che voglio che li lecchi. Sono già abbastanza irritata dalla tua visione fallocentrica del mondo, cerca di non peggiorare la situazione”.
    Davide appena udì il tono di Elena si accucciò ai suoi piedi come mosso da forze che non poteva controllare, diede prima delle timide leccate vicino al tallone, ma quando Elena lo esortò a fare di meglio iniziò a dare lunghe leccate su tutta la pianta del piede. “Bene sotto” faceva lei divertita. Mentre sentiva il gusto salato del piede sudato teneva gli occhi verso l’alto alla ricerca di uno sguardo di approvazione di Elena, che dopo qualche minuto schioccò le dita “ora l’altro”.
    Il piede, più di ogni altra parte del corpo può essere fonte di umiliazione, nel linguaggio comune si usa infatti leccapiedi o zerbino, mettere i piedi in testa o prostrarsi ai suoi piedi per definire la sudditanza di un individuo sull’altro.
    Elena stava imparando a usarli a tale scopo e la cosa le piaceva più di quanto aveva immaginato. “Eccola qui la superiorità del maschio. Apri bene la bocca adesso”.
    Elena gli infilò un piede in bocca, senza spingere troppo a fondo, solo per godersi un po’ lo spettacolo. Davide non si era mai sentito così succube, si sentiva moralmente annichilito da quel gesto. Gli suchiò il pollice di sua iniziativa.
    “Bene in mezzo alle dita, così. È abbastanza degradante?”
    “Ui” si sforzò di dire con i piedi in bocca.
    “Adesso portami in bagno che quando esco dalla doccia finisco di darti la lezione che meriti”.
    Davide la guardò interdetto.
    “A quattro zampe. Non posso mica camminare con i piedi fradici della tua saliva”. Davide ubbidì di nuovo. Si mise a carponi, lei lo cavalcò fino alla doccia dandogli per giunta anche uno schiaffetto sul culo.
    “Quando esco dalla doccia voglio trovarti in perizoma” concluse prima di entrare in bagno.
     
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    Capitolo 5 - Prima parte

    Lezione di femminismo

    Elena come consuetudine fece una doccia lunghissima, l’acqua molto calda aveva riempito la stanza di condensa generando una nebbia così fitta che era impossibile vedere da una parte all’altra della stanza. Nel frattempo Davide, con indosso il perizoma soltanto attendeva seduto sulla poltrona e i suoi pensieri erano scissi fra l’umiliazione appena subita e il timore per ciò che lo aspettava, ma essendo l’ignoto ciò che più ci spaventa i suoi pensieri erano soprattutto rivolti al futuro. Quei piedi che tanto aveva adulato gli erano stati concessi nella forma più degradante, aveva leccato via il sudore sotto lo sguardo divertito di Elena e proprio la sua espressione compiaciuta era il manifesto della sua sottomissione. Da una parte c’è chi impartisce ordini e pretende soddisfazione, dall’altra chi invece deve obbedire e si prostra rinunciando alla propria dignità al fine di soddisfare l’altro, così il rapporto fra Davide ed Elena si poteva riassumere.
    Elena aveva ancora una volta incrementato il proprio potere, qualche giorno prima Davide si era dichiarato, pur ammantando le proprie parole da un sottile filo d’ironia, un suo suddito e ora Elena aveva annientato le sue flebili resistenze trasformandolo dapprima nel suo leccapiedi, poi in un cavalluccio da cavalcare a piacimento.
    Davide aveva immaginato una miriade di possibili motivi per i quali avrebbe potuto ricevere una punizione, mai però gli era balenato nella testa che Elena potesse essere tanto suscettibile sulle questioni di genere. Pensava inoltre di essere stato uno sciocco ad essere stato tanto sincero riguardo all’influenza che la società patriarcale aveva nella sua visione del mondo, ma Elena era un avvocato troppo abile per un ingenuo come lui.
    Mentre il getto bollente della doccia rilassava i suoi muscoli Elena ripensava a quell’esperienza piena di eccitazione. “Oh, come me li ha leccati. Erano fradici. Che faccia che ha fatto quando glielo ho ordinato” pensava Elena in un miscuglio di piacere e divertimento “e poi ha fatto anche il cavalluccio. Dovrò addestrarlo un po’ prossimamente, non ha fatto che qualche metro e le braccia già gli cedevano.
    Fare le pulizie è una cosa da donne? Adesso le mie fruste gli apriranno un po’ gli orizzonti”.
    L’idea di provare le sue nuove fruste fu tanto elettrizzante da spingerla ad abbandonare quel torpore. Si mise l’accappatoio e pensò che una delle cose più scomode era asciugarsi dalle ginocchia in giù così chiamò Davide per adempiere a quel compito. Uscì dal bagno in accappatoio con i capelli ancora bagnati sotto il cappuccio e ordinò al suo segretario di seguirla a gattoni.
    “In ginocchio sulla poltrona, culo in fuori che ti insegno due cosette”. A quel punto Elena andò a prendere i suoi nuovi acquisti nel ripostiglio e li appoggiò sulla scrivania.
    “Dunque anche in te, come in troppi uomini del resto, permane l’idea che alcune mansioni debbano essere, per via di una barbarica disuguaglianza di genere, affidate alle donne.
    Le donne lavano, stirano, puliscono il pavimento mentre gli uomini stanno comodamente seduti in poltrona, questo è l’immaginario che l’uomo ha imposto con la violenza. Le cose però possono cambiare e mi pare di avertene appena dato una dimostrazione”.
    Elena girava attorno alla poltrona con passo leggero e voce armoniosa, come una professoressa che dava lezioni ai propri studenti, con l’eccezione che lei aveva appena impugnato una frusta e lo studente era uno e indossava soltanto un perizoma.
    “Si, mia signora è una convinzione tanto stupida, quanto ingiusta”
    “E noi la vogliamo debellare, non è vero? Ma per estirparla alla radice non basta un’ammissione razionale, è necessario che questa presa di coscienza avvenga attraverso un’esperienza di pentimento profondo.
    Ho pensato di darti trecento frustate”.
    “Signora la prego, sono tante, non…”
    “Zitto. Ancora una parola e rincaro la dose”.
    Elena aveva fra le mani la frusta da equitazione e fu con quella che decise di cominciare.
    Lo schiocco del primo colpo fu per lei una piacevole sorpresa, per Davide l’acuto bruciore in una precisa parte delle sue chiappe una dolorosa scoperta.
    Elena gli appoggiava la frusta sul culo per prendere bene la mira e caricare il colpo e quando Davide sentiva la lingua di cuoio appoggiarsi attendeva imminente l’impatto. Colpo dopo colpo Elena iniziava a prendere dimestichezza con la sua nuova frusta, variava le zone dove colpire, bene al centro delle chiappe, poi un poco sotto vicino alle cosce, notava particolari, ad esempio che se colpiva due volte lo stesso punto Davide soffriva un po’ di più e che colpendo la zona del perineo stringeva forte le chiappe.
    Ora Elena dava alle proprie frustate un movimento molto più ampio, lo schiocco si faceva più forte e Davide stingeva le mani sulla poltrona.
    “Come ti sembra?”
    “Brucia signora”
    “Molto bene. Pensa che siamo solo a cinquanta. Poi ti faccio conoscere anche le altre mie nuove amiche.
    Quello che senti schioccare si chiama cracker, ascolta che bel suono. Sciack”
    Elena cercò d’imprimere la massima potenza alla sua frustata. Arrivarono anche le altre cinquanta.
    Sulle chiappe di Davide vi erano impressi alcuni segni nitidi del cracker. Elena posò la frusta soddisfatta. “È dall’alba dei tempi che gli uomini hanno imposto il loro dominio. Il processo di emancipazione femminile si è sviluppato attraverso la concessione di diritti. Le donne hanno diritto al voto da settant’anni in questo paese. Il delitto d’onore è stato abolito una quarantina d’anni fa”. Elena si interruppe per un attimo e ordinò a Davide di appoggiare lo schienale di una poltrona contro l’altra, il quale pur non comprendendo le ragioni, ubbidì rapidamente. Elena, per non farsi trovare impreparata quando l’occasione l’avrebbe richiesto, aveva provato le sue fruste quando era rimasta sola nel suo ufficio e gli era parso che il gatto a nove code fosse più comodo e forse più efficace se usato dall’alto in basso.
    Così sistemò Davide a culo in su fra una poltrona e l’altra richiamando una posizione che aveva letto su un blog e si chiamava Winchester.
    “Divarica un poco le gambe” disse prima di raccogliere le code in alto con la mano sinistra e liberare la prima scudisciata.
    “Sciaf” le strisce di cuoio si infransero sul culo di Davide con un suono denso che eccitò Elena, la quale proseguì la sua lezione come se nulla fosse. “Stavo dicendo, noi donne perseguiamo l’uguaglianza attraverso concessioni di libertà… sciaf…ma finché gli equilibri di forza saranno i medesimi…Sciaf…non faremo che lottare da una posizione subalterna…Sciaf…noi donne invece dobbiamo prendere il potere…Sciaf…perché la natura umana fa sì che chi non sottomette viene a sua volta sottomesso e l’unica via per prenderci ciò che ci spetta… Sciaf…Sciaf…Sciaf”
    Elena stava battendo Davide ad un ritmo serrato, dopo una trentina di colpi inferti posizionandosi lateralmente e afferrando le code prima di colpire, si era infatti spostata dietro di lui e aveva preso a dare scudisciate di dritto e di rovescio con un movimento rotatorio fluido, mostrando un’attitudine sorprendente e Davide, come se indirizzando i colpi potesse attenuare il dolore si era messo a muovere il sedere da una parte all’altra, nella direzione opposta a dove arrivava la frustata. “Guarda un po’ come sculetta” aveva pensato Elena, che aveva scoperto di essere nata per usare la frusta.
    “È mettervi sotto” concluse dando all’ultima frustata un po’ di teatralità.
     
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    Capitolo 5 - seconda parte

    Lo sguardo impertinente


    Davide inarcò la schiena emettendo un ululato soffocato, il suo sedere aveva già preso un colore rosso uniforme con un’infinità di striature in leggero rilievo che formavano una trama intricata e risaltavano, come Elena aveva previsto, sul bianco del perizoma. Guardò Elena con espressione supplichevole, la quale non poté fare a meno di notare che il suo sguardo era caduto un poco più in basso. Nella foga di adoperare le fruste la cintura si era allentata e l’accappatoio si era aperto quel tanto che bastava per lasciare scoperti i seni.
    Fu per Davide una visione a tal punto celestiale, che l’attrazione fu molto più forte della paura delle conseguenze. Dalla sua prospettiva poteva vedere quei seni così abbondanti e sodi, con quei piccoli capezzoli che tendevano all’insù.
    “Mi stai dicendo che in un momento simile, mentre ti sto battendo perché ti insegni il rispetto per la donna tu trovi il coraggio di guardarmi le tette?”
    “Perdonami Elena” disse gettandosi ai suoi piedi e perdendo ogni attenzione anche per le formalità.
    “Voi uomini non sapete minimamente dominare i vostri istinti. È anche per questo che meritate di stare ai nostri piedi. Per queste tette mi porteresti a quattro zampe fino a casa e chissà cos’altro saresti disposto a fare”
    “Ha ragione signora. Non ho proprio resistito”
    “Non pensi che i vostri sguardi impertinenti possano farci sentire a disagio?”
    Davide si aspettava una reazione molto più dura da parte di Elena, invece era come se non potesse aspettarsi nulla di diverso e quel gesto non avesse fatto altro che avvalorare le convinzioni che giustappunto stava illustrando attraverso la ferrea logica e il sapiente uso della frusta.
    “Davanti a un bel corpo femminile siete privi di freni inibitori, ma credi forse che noi vogliamo sempre essere oggetto dei vostri desideri più sconci? Alzati immediatamente e piegati contro la scrivania, è arrivato il turno del bastone, vedrai che gli unici bollori che ti saranno rimasti saranno quelli delle tue chiappe”.
    Elena afferrò il cane e lo agitò nell’aria. Quel suono ebbe per Davide qualcosa di sinistro e alla prima scudisciata capì che i suoi timori erano del tutto fondati.
    Elena appoggiò il cane sul culo di Davide e liberò il primo che colpo che udì fendere l’aria con un fischio prima di schiantarsi.
    “Auuu brucia da morire”
    Un sorriso di piena soddisfazione si dipinse sul volto di Elena. Poi ne seguì un altro ancora più forte. Il bastone si fletteva in modo sorprendente e proprio questa sua caratteristica donava alle frustate un’efficacia eccezionale.
    Come se nulla fosse Elena proseguì la sua lezione “vedi, io credo che noi donne dovremmo sfruttare a nostro vantaggio il fatto che siate tanto succubi della vostra attrazione erotica..fiuu spam…dovremmo lasciarvi fremere dal desiderio…fiuu spam…osservare fino a che punto siete disposti a sottomettervi per ottenere ciò che tanto desiderate”.
    “Aaahhh” dopo una trentina di bastonate sul culo Davide si era arrampicato sulla scrivania culo all’aria in un patetico tentativo di sfuggire ai colpi, a ciascuno di questi inarcava gambe e schiena stringendo con entrambe le mani il bordo opposto della scrivania.
    “Composto” Elena lo afferrò per un orecchio e Davide strisciò all’indietro tornando alla posizione iniziale.
    “Non costringermi a legarti, dimostrami che puoi subire la tua punizione con un po’ di dignità.
    Mi hai fatto perdere il filo del discorso” disse spazientita mentre gli rifilava una bastonata.
    “L’importante che non abbia perso il conto” fece Davide trovando il coraggio di scherzare.
    “Vedo che la frusta non ti ha tolto né l'appetito né il buonumore, vediamo almeno se mi stavi ascoltando o devo farti passare la voglia di ridere”
    “Stava parlando del fatto che le donne dovrebbero usare le loro armi seduttive per sottometterci”.
    “Giusto”. A quel punto Elena iniziò una rapida e incessante sequenza di frustate, la flessibilità del bastone, rispetto alle altre fruste, gli permetteva di colpire a ripetizione, i colpi erano molto meno caricati, ma il veloce susseguirsi di questi stavano rendendo incandescente il culo di Davide che deciso a non deluderla, soffiava e guaiva, ma teneva il culo ben esposto, solo la schiena sembrava piegarsi sempre più all’indietro. Altre trenta frustate si schiantarono sul culo di Davide che si accasciò contro la scrivania stremato.
    “Dov’è che dovete stare voi uomini?” domandò Elena mentre provava un piacere viscerale nel vedere Davide così soggiogato dal potere delle sue fruste. “Ai vostri piedi signora” fece Davide quasi urlando, come se volesse convincerla della sincerità delle sue parole. “Da domani non mi accontenterò di vederti eseguire i miei ordini.
    Pretenderò iniziativa! Non vorresti forse ricevere un premio?”
    Davide, che per via dell’intensità dell’esperienza che stava vivendo aveva perso ogni forma di controllo disse ad alta voce “lo vorrei più di ogni altra cosa”.
    “Bene, ora però finiamo di arrostire questo culo!”
    Le fantasie che avevano abitato la mente di Elena, sedimentate per lungo tempo, si erano materializzate in quell’uomo che implorava sotto i colpi delle sue fruste ed era ormai totalmente succube del suo volere e in quel potere percepiva un piacere profondo, una parte autentica di sé veniva rivelata e proprio in preda a quella sensazione estatica terminò la sua opera. Abbandonata la misura che sempre caratterizzava le sue parole Elena si lanciò in un’arringa colma di entusiastico furore “per ogni uomo che viene sottomesso un piccolo tassello dell’impero maschilista si sgretola, per secoli siamo state soggiogate in ogni angolo del mondo…adesso è arrivato il vostro turno”
    “Una rivoluzione combattuta a colpi di frusta" pensò Davide mentre implorava sommessamente clemenza.
    Una raffica di bastonate investì il malcapitato culo di Davide che allo scoccare della centesima si accasciò a terra in ginocchio e vi rimase per qualche istante, percorso da un leggero tremolio. Elena si risvegliò dallo stato euforico che l’aveva attraversata e sorrise della tracotanza delle sue parole. Aveva detto a Davide che avrebbe commisurato le punizioni alle sue mancanze e sebbene la sua visione del mondo fosse inevitabilmente contaminata da un po’ di maschilismo era chiaro il carattere pretestuoso di quella punizione.
    Non aveva perso del tutto il controllo, ma era innegabile che quel potere che tanto aveva ambito l’aveva un po’ accecata.
    Davide meritava una piccola ricompensa.
     
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    Bravo! Mi piace come prosegue
     
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    Grazie Nena! Sono felicissimo che ti stia piacendo. È un periodo che proprio non riesco a smettere di scrivere!
    Accetto suggerimenti su cosa potrebbe fare a questo punto Elena a Davide ora che lo ha soggiogato, magari in privato per non spoilerare! :)
     
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    Capitolo 6
    La carota

    Ogni millimetro del culo di Davide era rosso acceso, solcato orizzontalmente da strisce gonfie color porpora, inconfondibile firma del cane.
    Elena sentì dentro di sé accendersi un moto di tenerezza nei suoi confronti e gli accarezzò dolcemente la testa.
    “Sei stato bravo, hai accettato umilmente la tua punizione e anche se è stata molto severa, non hai cercato di sottrarti. Ti avevo promesso che ti avrei punito solo quando lo avresti meritato e non dico che tu sia del tutto estraneo al retaggio patriarcale della società in cui viviamo, una buona lezione l’avresti meritata comunque…credo però di essermi fatta prendere un po’ la mano”.
    Davide non capiva dove volesse andare a parare con quel discorso, restò in ginocchio con la testa rivolta verso l’alto, annichilito dalla punizione che gli era appena stata inflitta, si massaggiava il sedere, di tanto in tanto una smorfia di dolore gli attraversava il volto. Le parole di Elena avevano travalicato i limiti del fanatismo in certi istanti, come se avessero cavalcato il piacere spasmodico della dominazione ed era certo che dall’alto della sua intelligenza ne fosse pienamente consapevole.
    Questo in nessun modo voleva contraddire la bontà della causa femminista, sulla quale lei restava fermamente convinta e Davide non osava certo obbiettare e il fatto stesso di sottomettere un uomo aveva davvero in qualche modo, simbolicamente, qualcosa di eversivo, ma i toni ridondanti che avevano accompagnato le numerose frustate erano in parte figli dell’euforia del momento.
    Su un punto però Elena non aveva certamente esagerato ed era riguardo al potere che le armi seduttive femminili potevano avere su un uomo, se Davide aveva infatti accettato di leccargli i piedi sudati, fare il pony e infine subire una lezione tanto dolorosa quanto umiliante era perché si sentiva totalmente indifeso di fronte al suo fascino e una donna, specie una donna piacente e acuta come Elena, poteva fare di un uomo una volta sedotto tutto ciò che desiderava.
    Certamente Davide aveva scoperto dentro di sé un’inclinazione alla sottomissione, essa non era però indiscriminata, ma intrinsecamente legata alla venerazione che sentiva per lei e se in passato, anche nei rapporti più intimi, si era mostrato un tipo persino orgoglioso, si sentiva invece, al cospetto di Elena, incapace di resistere alla volontà di abbandonarsi al suo volere.
    Sottomettersi è un profondo atto di fiducia.
    Elena, d’altro canto, provava senz’altro piacere a mettersi gli uomini sotto i piedi, tutti gli uomini, ma se aveva fatto di Davide un vero e proprio suddito personale era perché lo riteneva degno di servirla. Anche se può sembrare paradossale Elena lo aveva elevato a diventare il proprio schiavo e se ora Davide era lì, accucciato ai suoi piedi con il culo in fiamme, era perché lo riteneva all’altezza delle proprie attenzioni. La stragrande maggioranza degli uomini poteva avere soltanto la sua indifferenza, Davide invece meritava di essere educato, se necessario a colpi di frusta, poteva essere umiliato, come aveva appena dimostrato, anche nei modi più degradanti quando voleva ricordargli quale fosse il suo posto, ma aveva il privilegio di servirla e se si fosse dimostrato un suddito obbediente e fedele, poteva persino ambire a qualche ricompensa, cosa che per tutti gli altri non sarebbe stata nemmeno immaginabile.
    Proprio quel connubio fra la punizione appena subita e il desiderio irrefrenabile che aveva suscitato la piccola ricompensa ventilata da Elena avevano spinto Davide all’apice della devozione, e se della prima aveva appena saggiato le dolorose conseguenze, la seconda restava sospesa, ma sia l’una che l’altra erano emblema della sua totale sottomissione.
    Elena era padrona della sua sofferenza e del suo piacere.
    “Fammi vedere un po’ come ti ho conciato queste chiappe”. Davide sì girò svelto a carponi lasciando così che Elena potesse ammirare l’opera che aveva appena compiuto.
    “Wow, guarda che bel colore…e che belle strisce” Elena passò delicatamente la mano sul culo ancora caldo di Davide che istintivamente ebbe l’impulso di contrarle. “Tranquillo, mi pare che tu abbia già preso la tua bella ripassata”.
    “Sì, signora, brucia da morire, mi ha proprio dato una lezione memorabile, vedrà che ne farò tesoro”.
    Elena, eccitata sia dalla vista della propria opera che da quelle parole arrendevoli volle dilatare quell’attesa che aveva acceso le fantasie di Davide, vedeva il suo sguardo famelico, smanioso di conoscere quale estatico dono gli sarebbe stato concesso.
    “Su, seguimi, vieni a specchiarti, guarda che bel culo che ti ho fatto. A gattoni, da bravo, un giorno di questi potrei anche comprarti un bel guinzaglio” concluse sorridendo.
    “Lo indosserò volentieri se questo le farà piacere”
    Davide osservò il suo sedere e rimase colpito dal lavoro che avevano compiuto le fruste, la cintura era stata a confronto molto più clemente e non osava immaginare il bruciore di quando sarebbe stato costretto a sedersi.
    “Vedi quello che posso farti? credimi, cerca di non farmi arrabbiare perché posso fare anche di peggio”.
    “Sì signora, sarò obbediente, la servirò con tutto il mio impegno e prenderò iniziative, proprio come mi ha chiesto”.
    “Bravo il mio schiavetto. Una buona educazione prevede il bastone e la carota. Il bastone direi che l’hai preso, adesso avrai la tua carota”
    A Davide s’illuminarono gli occhi “Grazie signora”.
     
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    Capitolo 7
    Lasciarsi guardare

    “Puoi iniziare massaggiandomi i piedi” disse Elena mentre si metteva comoda sulla poltrona, dopo aver indossato un paio di mutandine sotto l’accappatoio ancora umido.
    Davide fece per inginocchiarsi quando Elena gli disse con un sorriso malizioso “siediti di fronte a me su quella sedia, così sarai più comodo”.
    “A dire il vero…”
    “Zitto”
    “Sì signora, come desidera, le chiedo scusa” disse Davide prima di posizionare la sedia di fronte a lei e sedersi delicatamente. Non appena il suo sedere toccò la superficie in acciaio provò un intenso bruciore, palesato dal contorcersi dell’espressione del volto e da un sommesso “aah”.
    “Brucia eh” fece Elena raggiante mentre gli porgeva un piede all’altezza del viso “ora massaggia bene” Imprimendo alla pianta del piede la giusta pressione con il pollice Davide iniziò a massaggiare con tutto il suo impegno, Elena teneva la gamba piegata, così Davide, sporto un poco in avanti faceva sì che tutto il suo peso potesse andare sulle cosce, preservando così il sedere che teneva leggermente rialzato.
    La gamba di Elena era quasi del tutto scoperta, solo l’accappatoio poggiava discosto all’interno della coscia, così da coprire le mutandine di pizzo che a Davide non era concesso vedere.
    Elena chiuse gli occhi, aveva la testa leggermente inclinata all’indietro e sprofondò in uno stato di totale abbandono.
    Quando l’olio si era completamente assorbito e doveva metterne di nuovo, Davide ne approfittava per rilassare un poco la mano e fu in una di queste occasioni che Elena, vuoi per la propria comodità, oppure perché godeva nell’osservare gli effetti della sua punizione, distese la gamba, così che il suo massaggiatore fu costretto a far aderire le proprie chiappe doloranti alla superficie dura di quello scomodo pezzo di design.
    “L’altro piede” disse ad un certo punto sottovoce Elena, quasi stesse parlando nel sonno.
    Per dieci lunghi minuti Davide massaggiò anche l’altro piede, la mano iniziava a fargli male anche per la poca abitudine, per non parlare delle natiche che gli davano la sensazione di essere seduto su una stufa sempre più calda, aspettava un cenno da parte di Elena, ma non osava in nessun modo interrompere ciò che stava facendo cercando anzi di mantenere un’intensità costante, come se un piccolo segno di insoddisfazione da parte di Elena potesse precludergli la parte più succulenta, ma del tutto ipotetica, del premio al quale ambiva. “Ora le gambe” sussurrò mentre gli appoggiava la prima sulla spalla. Davide passò l’olio sui suoi polpacci tonici, cercando di accompagnare prima con una, poi con l’altra mano le linee dei muscoli, finché Elena disse “ora più giù” e Davide si spinse fino all’interno delle cosce. Percorreva avidamente quelle gambe sinuose, slanciate e la sua pelle luminosa e tersa come un cielo estivo.
    Per pura inavvertenza o forse per diabolica malizia l’accappatoio si era ormai aperto lasciando ora scoperte le mutandine di pizzo blu sotto le quali s’intravedeva il pelo nero.
    Approfittando delle palpebre socchiuse Davide non riusciva a staccare gli occhi da quella visione ai limiti del misticismo, ignaro di come Elena avrebbe preso un altro sguardo impertinente massaggiava ora spasmodicamente arrivando a sfiorare con il dorso della mano quell’oggetto del desiderio che poteva ora osservare da tanto vicino.
    Era come se la guardasse spogliarsi da uno spioncino, la furtività di quel gesto rendeva tutto più eccitante. Così, quando Elena disse “così può andare” riaprendo gli occhi non poté fare a meno di notare sotto il perizoma bianco l’erezione di Davide in bella mostra. Il perizoma, striminzito anche davanti, era teso dal pene eretto di generose dimensioni, lasciando così scoperto il pelo pubico e una porzione di esso.
    Elena finse un’espressione contrariata, ma l’immagine grottesca di quell’uomo profondamente imbarazzato gli impedì di trattenere il sorriso “vedo che il mio dono è stato apprezzato”. Davide si coprì istintivamente.
    “No, no, via quelle mani, in ginocchio, ora voglio guardare un po’ anch’io. Ho visto dove guardavi mentre massaggiavi. Prima mi hai guardato le tette, poi le mutandine, se non ti spiace ora guardo un po’ anch’io”.
    “Ma certo signora” rispose Davide a tal punto imbarazzato da non cogliere il tono evidentemente sarcastico di quel commento.
    “Guarda un po’ quanto è dotato il nostro Davide” fece Elena sempre più ispirata afferrando il perizoma con un dito e liberando il pene eretto di Davide.
    Restò a guardarlo per quasi un minuto, mentre Davide si sentiva sempre più a disagio e nonostante ciò non riusciva a stemperare l’eccitazione. “Ora fammi guardare bene ancora queste chiappe belle rosse che ti ho fatto…ma lo sai che non sono niente male? Dovrò comprarti altri perizoma perché le voglio vedere più spesso, soprattutto dopo che te l’ho suonate…domani farai le pulizie con il grembiulino e le chiappe di fuori…voglio che tu capisca quanto uno sguardo possa generare imbarazzo” disse Elena mentre scrutava il corpo di Davide. “Per oggi mi sono divertita abbastanza, su cavalluccio portami in bagno che ho voglia di tornare a casa”.
    Cavalcò Davide con il pene ancora eretto fino al bagno dandogli un paio di schiaffi sul culo e si rivestì prima di salutarlo disse “non vorresti farmi un bel massaggio completo la prossima volta?”
    “Farei qualsiasi cosa per meritarmelo” rispose Davide, ancora nudo e incapace di acquietare la propria erezione.
    “Dimostramelo e sarai premiato”
     
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    Capitolo 8
    L’ambizione

    Mentre lustrava ogni angolo dello studio un vortice di fantasie ed emozioni viaggiava nella mente di Davide. Aveva il culo così in fiamme che stava terminando le pulizie ancora in perizoma per via del bruciore che immaginava gli avrebbe provocato indossare un indumento, era stato umiliato in tanti modi e aveva sentito dentro di sé crescere il proprio desiderio fino a esplodere senza poterlo soddisfare, eppure da tanto tempo non si era sentito così vivo.
    Elena conosceva ogni spiraglio segreto di ciò che un uomo può desiderare e attraverso una magistrale opera ammaliatrice aveva lasciato cadere Davide in uno stato d’ipnosi.
    Una donna ha generalmente desideri erotici molto più complessi rispetto a quelli di un uomo, una scollatura o una gonna corta ad esempio risultano per lui infinitamente più eccitanti di un costume da bagno, ma un conto è conoscere simili banalità, un altro è saperle usare a proprio vantaggio.
    L’immagine delle mutandine di pizzo che lasciavano intravedere l’epicentro della sua attrazione ossessionavano i pensieri di Davide, aveva sfiorato e avvicinato così tanto il suo volto da poterne quasi sentire il profumo, ma mentre nelle esperienze passate ciò era stato il preludio al ricevere piena soddisfazione, in questo caso i suoi desideri restavano sospesi alimentando così esponenzialmente le loro proporzioni ed erano vincolati al suo grado di prostrazione.
    Cosa sarebbe stato disposto a fare per soddisfare un desiderio così irrefrenabile?
    Se con la frusta Elena aveva ottenuto obbedienza, con questo quesito spingeva Davide ad avere un ruolo ben più attivo, la libertà di scegliere cosa fare per compiacerla.
    Tutto ciò che Davide avrebbe fatto non sarebbe stato per paura delle conseguenze, ma per godere di qualcosa che desiderava con tutto se stesso e questo rendeva la sua sudditanza ancora più forte.
    Per tutta la notte aveva sognato quel corpo incantevole e di poterlo percorrere con le proprie mani.
    Quando il mattino seguente Elena entrò in studio Davide l’accolse seguendo l’ormai consueto rituale, con indosso però soltanto il grembiule dal quale spuntava il culo livido e un nuovo perizoma blu formato nella parte posteriore da una piccola striscia elastica.
    “Vedo che hai fatto acquisti”
    “Sì, signora, visto che desidera vedermi più spesso in perizoma ho pensato che uno soltanto non sarebbe bastato, così ne ho acquistati altri, sono già stati lavati e pronti per essere indossati.
    Vuole forse vederli?”
    “Stamattina non ho tempo di cazzeggiare. Fammi soltanto vedere come ti sta questo”.
    Davide mostrò le chiappe piene di lividi.
    “Non c’è male…una cosa però, va bene che il tuo sedere è quasi totalmente glabro, ma questi pelacci che spuntano non li voglio più vedere”.
    “Questa sera stessa farò una ceretta. Le ho portato anche un dono. Lo può trovare nel ripostiglio”.
    “D’accordo, ma ora voglio essere aggiornata sugli appuntamenti della settimana”.
    Davide si sedette con estrema precauzione sulla sedia davanti al PC e iniziò a elencare i numerosi impegni, ma notò che Elena era distratta, più che pensierosa però aveva l’aria trasognata.
    Delegò un paio di impegni a due suoi collaboratori e cercò di snellire il più possibile l’agenda settimanale, cosa piuttosto inusuale per lei così abituata ad avere il controllo su ogni sfera del proprio lavoro, ma ancora più singolare per Davide fu la sua insofferenza, era arrivata da poco, eppure sembrava fremere dalla voglia di terminare il proprio lavoro.
    Anche per Elena la notte era stata densa di riflessione, il lavoro aveva da troppo tempo prosciugato la sua sfera emozionale, i suoi successi professionali avevano in qualche modo nascosto i lati ombra di una vita arida di relazioni, forse anche per questo motivo l’esperienza vissuta con Davide era stata tanto elettrizzante, perché l’aveva risvegliata da un sonno profondo e una volta accaduto non voleva più disperdere il calore che aveva provato e l’aveva fatta sentire così vicina a se stessa.
    Entrambi avevano riscoperto una parte della loro personalità assopita attraverso un flusso di dominio e sottomissione ed erano famelici di esplorarlo.
    Elena passò un paio d’ore davanti allo schermo del proprio PC, ma il suo sguardo cadeva spesso su quei segni che aveva stampato sul sedere di Davide, godeva pensando che la notte, come gli aveva confidato, aveva dovuto dormire a pancia in giù per il bruciore. Lei sfoderava le sue fruste e lui doveva sopportare il loro lascito per qualche giorno, tutto ciò la faceva sentire potente.
    “Fammi un po’ vedere il mio regalo” disse Elena interrompendo un lungo silenzio.
    Davide si inginocchiò di fronte a lei e gli porse una busta rossa e lucida che lei scartò avidamente.
    “Un guinzaglio” esclamò con tono fanciullesco.
    Davide lo indossò. Aveva una striscia di pelle nera piuttosto spessa che gli girava intorno al collo stretta da una piccola cinghia, una catenella in acciaio e all’altra estremità una banda dello stesso colore del collare. Elena gli fece fare un giretto per la stanza e Davide la seguì a gattoni, poi fu il turno di provare i nuovi perizoma, il primo viola con dei laccetti e il secondo giallo senza cuciture che “stava davvero bene con il culo rosso che gli aveva fatto” approvò Elena.
    Davide, evidentemente a disagio, sfilò di fronte a lei seduta in poltrona e provò la strana sensazione di essere oggetto di uno sguardo scrutatore. Terminata quella grottesca sfilata Davide si mise a carponi orizzontalmente di fronte a lei e gli propose di stendere un poco le gambe. Elena appoggiò i piedi sulla sua schiena e pensò che quella di fare il poggiapiedi era una bella trovata, così lo lasciò lì per un po’.
    Era soddisfatta dell’atteggiamento di Davide, ma per ambire ad un premio tanto elevato ci voleva uno sforzo maggiore, il guinzaglio che aveva fra le mani gli diede una fantastica idea.
    “Su ora portiamoci avanti con il lavoro, per domani ho in mente qualcosa di molto divertente.
    Molto divertente per me naturalmente”.
     
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44 replies since 29/1/2024, 20:35   1119 views
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