Terapia d'urto

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    TERAPIA D'URTO.

    "CHE TI SUCCEDE?"
    Giovedì sera. L'aria umida dell'esterno si insinuò all'interno della porta appena aperta, e sul pavimento comparirono alcune orme di scarpe fradice.
    Inevitabile, dato il diluvio che li aveva colti alla sprovvista.
    Nemmeno chiusa la porta al mondo esterno che la donna incalzò:
    "Marco, tu ti devi dare una calmata!"
    Come per togliersi un peso fastidioso dalle spalle lui le scrollò.
    "Mi spieghi cosa ti succede negli ultimi periodi, Marco? Mi sono letteralmente VERGO-GNA-TA oggi."
    Nessuna risposta.
    "Imprecare per la pioggia, come se il cielo ti ascoltasse..."
    Ancora nessuna risposta.
    "L'ultima 5 minuti fa, in macchina. Vuoi rispondermi?"
    Finalmente si sentì una seconda voce:
    "Beh, ma hai visto come guidava quel rincoglionito?"
    "Certo, ed hai cambiato qualcosa con i tuoi improperi?"
    "Magari si sveglia in futuro."
    "La strada è fatta così, devi tenere gli occhi aperti anche per gli altri. Capisco una reazione per lo spavento, ma andare avanti di continuo non serve a niente."
    "Ah, no?"
    "No, come non serve sbuffare e spazientirsi per le code in posta."
    "Ma ti pare possibile che una sola persona occupi uno sportello per tre quarti d'ora per...?"
    "Si, è possibile. Una volta io sono stata allo sportello per un'ora e mezza. Avrei voluto stare a casa distendendo le gambe sul divano ma purtroppo dovevo risolvere certe questioni."
    "Mmmmm"
    "E devo continuare con l'elenco? La tipa degli accendini, il commesso del negozio, persino con la macchinetta che ti fa gli scontrini. BASTA!"
    "Non è colpa mia se-"
    "Se esiste altra gente al mondo? Se questo non ruota alla tua stessa velocità? Bastava respirare un attimo e portare pazienza, lasciando dissolvere i problemi da soli."
    "Si però, certe cose mi fanno imbestialire."
    "Anche a me! A me fa imbestialire il tuo carattere irritabile degli ultimi tempi. Anzi, sai che c'è? Che la pazienza adesso l'ho persa io! Vai a prendere la spazzola!"

    "..."
    "La spazzola, ho detto!"
    "Giada, ti... chiedo scusa."
    "Me l'hai detto anche ieri, ma non mi pare che ci sia stata una presa di coscienza. Va a prendere la spazzola."
    "E' che... è un periodo un po' strano, soprattutto al lavoro..."
    "Credi che non me ne sia accorta da come torni a casa? Se perdi il controllo per delle baggianate del genere non oso immaginarmi là cosa possa succedere."
    "No no. Ti giuro."
    "Non puoi rovesciare il tuo malumore addosso alla gente, come io non ti riverso addosso il mio. Potevi parlarne, invece che essere acido come un limone."
    "S-si, è vero ma..."
    "Adesso non voglio sentire un'altra sillaba. Vai a prendere la spazzola, le scuse me le farai DOPO!"

    Marco sapeva già a cosa si riferisse quell'avverbio, non c'era bisogno di specificare nulla.
    Lei lo aspettò sulla sedia, con le braccia appoggiate ai fianchi come a disegnare le maniglie di un'anfora. La bocca leggermente contrita, gli occhi fissi su di lui ed il respiro trattenuto lasciavano che il tempo si fermasse in quella stanza per qualche periodo non precisato.
    Lui stava balbettando a mente qualcosa da dire, ma vi rinunciò per l'incosistenza delle argomentazioni e per tanto fece l'unica cosa che poteva fare per scrollarsi di dosso quell'embacle: consegnò lo strumento.
    "Vorrei esserti vicino ed aiutarti, ma se ti tieni tutto dentro mi è impossibile. Poi non ce la fai più nemmeno tu e scoppi, i risultati si sono visti. Sappi che ti voglio bene, ma con questi atteggiamenti non mi è facile."
    "Hai rag-"
    "Silenzio, ho detto! Le scuse a dopo."
    Gli sbottonò i pantaloni, portandoli sotto il ginocchio e giù fino alle caviglie.
    "Capita di sentirsi sopraffatti dalla vita, ma occorre lasciarla scorrere."
    Lui annuì sommessamente.
    "Non puoi cambiare il mondo. Lo puoi influenzare, ma ha un corso tutto suo."
    Lui trasalì quando con lo stesso movimento lei stava tentando di rimuovere anche l'intimo.
    "Eh si, caro mio! Oggi hai passato il limite!"
    Gli prese il braccio e senza troppe moine se lo mise di traverso in maniera esperta.
    Strofinò il suo sedere nudo con il piatto della spazzola.
    Poi inspirò, come un atleta prima di una corsa.
    Gli fece assaggiare quel dorso duro e freddo in tre o quattro punti diversi.
    Lo osservava nei movimenti istintivi del collo e nelle piccole smorfie che riusciva ad intravedergli dal volto.
    Non doveva mostrarsi clemente, ora che aveva in mano quell'arnese.
    Avrebbe rovinato tutto se avesse ceduto.
    Solitamente lo scaldava per bene con la mano, o cominciava con un ritmo più blando.
    Questa volta non poteva farlo, doveva capirlo oltre alle parole.
    Lui mostrò sofferenza sin da subito, come era giusto che fosse.
    Lui sapeva che non sarebbe stata una cosa rapida nè facile.
    I pantaloni gli intralciavano i movimenti sotto al ginocchio, mentre lei cominciava a battere con maggior enfasi.
    Da lei non si udivano parole, soltanto respiri affannosi mentre il braccio si alzava e si abbatteva continuamente e quando lo faceva in prossimità del punto colpito appena poco prima causò un gemito di dolore.
    Non bastava, quell'uomo era stato una spugna di sentimenti negativi per lungo periodo ed adesso andava sciacquato dall'interno.
    Battè forte sull'attaccatura dei glutei per poi riconcentrarsi sul sedere, che stava iniziando a manifestare qualche segno di punizione.
    "AH!"
    Il suo limite di resistenza lo conosceva, stavolta avrebbe dovuto spingerlo fin la, e farlo piangere se possibile. Avrebbe dovuto sculacciarlo molto forte per ottenere questo risultato e perciò non si risparmiò le energie.
    "AH! AHH! OH!"
    I suoi movimenti diventavano via via sempre più incontrollabili, tentando in un paio di occasioni di parare il colpo con la mano.
    Una cosa da non fare mai, si erano detti.
    Anche se fa male, una punizione la si deve beccare tutta.
    Gli bloccò il braccio dietro la schiena per poter gestire al meglio l'arringa finale.
    "La prossima volta non attenderò di tornare a casa, bada bene!"
    Aveva tanta rabbia repressa dentro di se che prima di riuscire a svuotarsi gli ci vollero parecchi minuti, fino al momento in cui le lacrime non bagnarono il pavimento e lui invocava pietà.
    Il traguardo era stato raggiunto, entrambi i cuori ritmavano scomposti.

    Venti minuti dopo.
    "Stai bene?"
    "Si, grazie."
    "Ti ho preparato un tè caldo, puoi uscire dall'angolino e venire qui sul divano con me."
    Gli avrebbe lasciato il tempo che desiderava ad uscire da quel guscio infranto, senza affanno o pretese.
    La avrebbe ringraziata a fondo qualche ora più tardi.
    Gli accarezzò dolcemente il sedere e gli scompigliò i capelli, poi lo baciò con la caritevolezza di una crocerossina.
    "Uh, come è bollente!"
    Lui si imbarazzò.
    "Stavo parlando del tè, sciocchino!"
    "Ah..." E finalmente, sorrise.
     
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