Ritratto di ragazza seduta

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  1. Gius Carver
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    “Sono vecchio”.
    “No, no lo sei, hai solo cinquant’anni”.
    “Sono un artista degenerato”.
    “Sì, secondo Hitler lo sei. Non ne vai fiero, Moise?”.
    Moise Kisling rise di cuore alla battuta della sua modella, nonostante il dolore che la vecchia ferita al petto, una fucilata presa mentre combatteva nella Legione straniera, gli causava.
    “Il dannato schizzatele fallito, la fonte di ogni nostro male. Dimmi Saschia, però, è vero che almeno Mussolini è caduto?”.
    “Così pare” disse distrattamente la ragazza mentre alzava la gonna fin sopra la vita, per poi sedersi sullo sgabello e sfilare con grazia provocante le calze fatte di quel nuovo tessuto artificiale che, le avevano detto, stava cambiando le sorti della guerra “secondo il Post, ieri un qualche consiglio italiano l’ha destituito”.
    “Ah, se fosse vivo il mio amico Modì, come ne sarebbe contento..., ma anche lui, morto giovane”. Tutto ciò che portava alla sua giovinezza pareva sfortunato, anche la sua povera Patria Polacca, schiacciata. Non potè trattenere un sospiro. Avrebbe pianto magari, ma poi le lacrime sarebbero cadute sui colori che stata così bene impastando. Ma che importa in fondo? Era vivo, in America, celebrato. Cosa andava male? Nulla. “Sai che mi ha fatto un ritratto?”.
    “Lo sa bene chi lo tiene in casa, quel ritratto. Quanto varrà?”. Saschia finiva la sua svestizione togliendo il reggiseno e, piano, per far vedere il boschetto, le mutande di pizzo.
    “Su, non essere sempre venale, mia piccola Saschia. Sei pronta? Brava, mettiti sul piedistallo, le mani ben alzate e, ti prego, FERMA”.
    “Così?”.
    “No, Saschiuscia, noo, aspetta, ti sistemo io”.
    “Dai, così mi fai il solletico”.
    “Ma insomma, vuoi stare ferma?”.
    Raggiunto un qualche equilibrio, tornò alla tela e prese a distribuire ampie pennellate dei suoi colori accesi. La musa scese a rendere la mano veloce e l’occhio ispirato.
    Nella concentrazione massima i ricordi affiorarono alla mente del pittore come nuvole. Le immagini di uno studio parigino con poco sole ma tanta gente. Serate a ridere, a discutere, a litigare. Lo spiritaccio triste di Amedeo Modigliani, sempre in bolletta ma sempre più geniale. E le prostitute parigine che giravano liberamente nello studio, portate lì da questo o da quello. Quella sera che arrivò Bejard ubriaco perso con due donnine allegre e si lamentava che una delle due non gli voleva fare un pompino. E allora l’altra se la mise sulle ginocchia e prese a sculacciarla prima sulla gonna, poi sulle mutande e infine sul culo nudo, con la figa in bella vista verso di noi, urlando: “prendi, santarellina, non li fai i pompini eh? Signorina lei. Mica lo deve portare il pane a casa, viziatella”. E noi a ridere e incoraggiarla mentre la ragazza sculacciata sapeva solo lanciare urla e diventare sotto e sopra di un rosso che.....
    “Ora mi hai stancato Saschia, lo sai che facevamo a Parigi alle modelle che non stavano ferme? Le sculacciavamo”
    “Figurati, e magari di fronte alle puttanelle che venivano a trovarvi, vero?”.
    Quando una ragazza ha bisogno del bastone, bisogna darle il bastone, pensò il pio Moise, e quanto bisogno ne ha la mia Saschia?
    Così senza perdere tempo la raggiunse e la rovesciò sul ginocchio, con mossa a sorpresa che più di una volta gli aveva salvato il culo nelle camerate della Legione.
    La risata di Saschia si spense nel confondersi con il poderoso schiocco della mano sulla natica nuda.
    “Aaaahia, ma che fai, vecchio Moise?”.
    “Ti insegno a stare ferma mia modella, e infatti ti darò le mie buone sculacciate fino a che non avrai imparato l’immobilità, pure sotto le sculacciate stesse”.
    È facile dire immobilità, ma quando sul culo ti arriva la mano di un ex legionario abituato a tenere il braccio in alto sulla tela, star fermi richiede una forza di volontà che la povera Saschia aveva dimenticato a casa al momento della sua precipitosa fuga dall’Europa.
    I movimenti delle sue gambe disegnavano simpatici ghirigori nell’aria. Senza nessun coordinamento, ma distendendosi a volte insieme a volte autonomamente, scalciando, divaricandosi, unendosi, dicevano con il frustare l’aria il dolore di essere frustate sulla loro testa.
    E Saschia sottolineava con “Ah!” ogni colpo che arrivava dalla grande mano. Dolore, dolore e ancora dolore, fino a che, svanita ogni voglia di far arrabbiare quell’energico caprone, assunse finalmente un’immobilità statuaria.
    Le lacrime rientrarono negli occhi, la rigidità della posa prese ogni muscolo.
    Il dolore pungente fu all'improvviso come il vento su una statua.
    Ferma.
    Peccato, pensò, il pittore, il colore del sedere e della faccia si stavano facendo così vicini al mogano dei tuoi capelli....
    “Non perdiamo tempo, alzati e vatti a sedere lì. La luce è perfetta, dobbiamo sbrigarci”.
    “Moise, sniff, io non ce la faccio a sedermi”.
    “Su, poche storie, o stavolta uso davvero il bastone. Ecco un cuscino morbido. Siediti di schiena e voltati verso di me. E ferma stavolta”.
    “Sì, Moishe....”.
    Fine
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  2. Alterelle
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    Bellissimo. Mi piace veramente tanto
     
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  3. Gius Carver
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    CITAZIONE (Alterelle @ 6/2/2020, 19:00) 
    Bellissimo. Mi piace veramente tanto

    Grazie. La tua opinione è sempre la più importante lo sai.
    Ci tenevo perché è un'idea che mi è venuta oggi e che sentivo l'urgenza di scrivere. Non è meraviglioso il quadro?
     
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    Grandissimo Gius, un vero "tableau vivent" nel contesto di un affresco storico, impreziosito dal ritratto..
    Perfetto direi, uno dei tuoi migliori !
     
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  5. Alterelle
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    Si molto. Hai fatto benissimo, é un bellissimo racconto.
     
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    Spankee

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    Bellissimo racconto Carver..direi...artistico :D
     
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5 replies since 6/2/2020, 18:52   726 views
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