Lacci & Sculacciate

Votes given by deep blue

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    Ci aggiungo una birra di mia creazione.

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    Recentemente (più e meno) ho compiuto 30 anni. Come regalo avrei voluto una bella spankee con tanto di fiocco rigorosamente rosso da scartare, l'avevo anche scritto sulla letterina a Babbo Natale (chi come compie gli anni a gennaio si sa riceve un regalo solo, ma grande), invece è arrivata una tavoletta grafica da connettere al mio Mac con il quale sperimentare. Non potendo quindi usare le mani per battere qualche natica e nemmeno per imbrattare la carta, ho ripiegato sul riempire di pixel un foglio digitale.

    Questo il primo risultato che ritengo presentabile.

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    Apro una rubrica dedicata non solo all'attimo prima ed al durante (facce), ma anche dedicata al corner time.
    Cerco di andare ogni giorno di pari passo con quegli altri due post, in modo da rappresentare sempre la stessa modella contemporaneamente.
    Andy Moon.


    "Ah, come brucia... devo stare attenta a come rispondo in futuro (forse)"

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    Questa foto è stata fatta durante il periodo natalizio...lo si vede dalla lingerie rossa...mi piace tono su tono. Da notare i giocattoli posti sul tavolo :lol:
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    Ma auguri TANTISSIMI alla parrocchetta Dollycina!!! :felix: :felix: :felix:

    senza di te il nostro piccolo spazio ne sarebbe dimezzato, ma che dico, omeopatizzato!

    Continua ti prego, la tua presenza è una garanzia e i tuoi contributi una gioia quotidiana! :muah: :muah: :muah:
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    Grazie deep
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    Non proprio oggi ma recentissima
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    Storia rigorosamente di fantasia, ma... sai come funziona un collage?
    Prendi un pezzetto di realtà, gliene metti accanto un altro, poi un altro ancora e alla fine ottieni un disegno.
    Così, prima di cominciare, meglio chiarire che ogni riferimento a fatto accaduti e persone esistenti (o esistite) deve essere considerato puramente casuale.

    Detto questo... si comincia.

    Lei sta aspettando, i capelli raccolti in una treccia ordinata sono una stretta V lungo la pelle della sua schiena, come un segnale che qual è il mio compito.

    È distesa sul letto sul letto in posizione prona.

    Nuda.

    Un paio di cuscini sotto la pancia le tengono il fondoschiena ben esposto. Due paia di manette serrano i polsi alla testata del letto, puro ferro battuto, di quelle che si facevano una volta. Una benda sugli occhi e la pallina di gomma sulla bocca, legata con una robusta fibbia dietro la nuca, completa il quadro.
    Anche i piedi sono legati alla pediera del letto, una corda di accappatoio ciascuno li serra in posizione leggermente divaricata.
    Ha eseguito le mie istruzioni a puntino.
    A me ha lasciato il lavoro pesante… ma è meglio che proceda dall’inizio.
    Mi chiamo Alberto e di professione sono un agente immobiliare.
    Tutta questa storia è iniziata un paio di giorni fa durante un sopralluogo.
    Una signora ha messo in vendita la sua villa, ormai troppo grande per lei che è rimasta sola… e ha chiamato me.

    Una villa d’epoca poco appariscente, appartata, con un’alta siepe di cipressi grigi a nasconderla da occhi indiscreti e un giardino in stile giapponese con pietre, acqua e bonsai ben curati.
    La signora, Anna, ha i suoi anni ben documentati da una fitta ragnatela di rughe che le attraversa la faccia in ogni direzione e che amplifica qualsiasi emozione voglia trasmettere. I suoi occhi mi ricordano quelli di un rapace, come se il suo spirito fosse pronto a spiccare definitivamente il volo. Le stringo la mano, oh! Che energia!
    Per non perdere l’equilibrio entro, ma la sensazione è strana davvero. Sembra quasi che mi abbia trascinato lei.
    L’interno è di un’altra epoca, mi ha fatto venire in mente quelle ville in stile viennese, ecco, manca solo un valzer di Strauss in sottofondo; mobili, lampadari di cristallo, i tappeti, souvenir del giappone ovunque, al posto delle porcellane cinesi, ma l’aria che si respira pare vecchia di un secolo.
    Sul buffet del soggiorno fanno bella mostra di sé una serie di fotografie: il marito, che intuisco essere morto, le figlie una sposata e una decisamente single.
    Non è difficile da capire: quella sposata è in abito da sposa, eh eh, per sbagliare devo impegnarmi. La foto è fresca di stampa segno che il fatto è avvenuto negli ultimi due-tre mesi. L’altra figlia è più grande e non sembra sposata o forse non lo è più. È da qualche parte al mare, qualche isola tropicale, indossa un bikini minimale ed è circondata da uomini che sembrano fuoriusciti da una puntata di baywatch. Involontariamente mi passo una mano sull’addome: dovrei tornare in palestra.
    Nell’immagine ha un corpo tonico, vibrante, sensuale come una delle creature immortalate nel marmo da Antonio Canova. Distolgo lo sguardo, controvoglia, prima che venga notato da Anna.
    Mentre giriamo per le stanze, ormai disabitate tranne la cucina e la camera da letto, mi soffermo sulla stanza delle “ragazze” e l’atmosfera che percepisco è molto differente. Nonostante siamo arrivati alla mansarda sento freddo.
    Ci sono un paio di lucernari, ma devo comunque accendere la luce per vedere meglio.
    Un armadio laccato di bianco e due letti con la testiera in ferro battuto completano l’arredo. Uno dei due letti è pronto. L’altro ha solo il materasso.
    «È per mia figlia maggiore: ogni tanto passa a trovarmi.» la voce della padrona di casa mi fa sobbalzare, mi sento come un ladro sorpreso a sbirciare di nascosto. Distolgo frettolosamente lo sguardo, anche se quelle sbarre di ferro mi hanno fatto venire in mente una fantasia che include a meraviglia lo splendido lato B messo in mostra dalla figlia maggiore nella foto del soggiorno.
    C’è una porta sul fondo della stanza, apro, c’è un bagno cieco.
    Lo sfarzo e l’abbondanza di dettagli che abbondava nel resto della villa qui pare un ricordo più remoto dell’allegria in un cimitero. Il bianco è ovunque, i sanitari sembrano mimetizzarsi nel bianco delle piastrelle reso opaco da una lampadina che produce a stento la luce l’illuminazione necessaria. Un asciugamano rosa, unica nota di colore, è appeso a un gancio tra la vasca e il lavandino, sul gancio accanto due corde da accappatoio e una grossa spazzola da bagno son tutto quello che c’è ancora da vedere.
    Nel mio animo si fa strada una sensazione che conosco bene: claustrofobica e oppressiva; mi prende allo stomaco e non mi lascia andare.
    «Questa è l’ultima stanza o possiamo passare al giardino?» chiedo.
    Mentre scendiamo Anna mi racconta dei grattacapi procurati dalle figlie finché non si sono sistemate tutte e due quando hanno trovato lavoro e sono andate a vivere da sole. Con suo marito accanto era stato tutto più semplice, ma durante la “fase dei cretini”, come aveva chiamato lei la pubertà e complice la malattia del marito, aveva avuto molte difficoltà per riuscire a tenere sotto controllo ogni questione.
    Anna accompagna ogni frase muovendo le mani: movimenti secchi, decisi, autoritari. Provo ad immaginarla con una quindicina di anni di meno, facciamo venti. Piccola, ma agguerrita. Ecco sì, la vedo proprio così: molte meno rughe, la pelle delle braccia ancora tonica. Mi scappa un «Bei muscoli che ha, signora, anche adesso! Che esercizi fa per essere così in forma?»
    Lei sorride, ma continua a descrivermi la casa e la sua vita.
    Non dubito neanche per un istante di quanto mi racconta.
    Il cipiglio con cui si rivolge a me, tutto il suo non verbale, metterebbe in riga anche un plotone di tredicenni in piena tempesta ormonale.
    Concludiamo il giro nel seminterrato dove c’è una cantina ripostiglio, uno studio ricavato dal garage e la lavanderia. In quest’ultima stanza il senso di angosciosa oppressione si fa palpabile: la stanza è immersa nel silenzio e non passa un filo d’aria neanche per sbaglio. Una lavatrice e un essiccatoio attendono, in un angolo, di essere utilizzati. Non ci sono finestre, solo una “bocca-di-lupo” da cui la luce entra di sbieco. Linoleum come pavimento, che un tempo doveva essere stato bianco, pannelli bianchi alle pareti e al soffitto che isolano dai rumori così da impedire agli elettrodomestici di disturbare gli ospiti durante il the.
    Il colore della stanza mi fa saltare in mente un’idea affatto sorprendente, per me. Osservo meglio tutto l’ambiente. Una panca sotto la finestra, una sedia accanto la lavatrice, un armadio a fianco della porta e tutto dello stesso bianco ingrigito. Una serie di fili da bucato attraversa un lato della stanza, sono vuoti e corredati da robuste pinze da bucato di legno, come si facevano una volta. Con un dito ne spingo un paio lungo il filo. Ah, però! Sono anche grosse: chissà quanti anni hanno? Non se ne trovano più così.
    La lavanderia mi colpisce come e più della “camera delle ragazze”. Nel corso degli anni ho imparato a distillare, da tanti piccoli indizi, la personalità di chi abita nella casa che sto valutando. È un riflesso condizionato, non posso farci nulla: osservo, analizzo, deduco e di solito la conclusione si rivela esatta.
    È la mia deduzione che mi porta ad aprire distrattamente un’anta dell’armadio: quella in basso a sinistra. La signora non è mancina e non è alta. Dentro ci sono scatole varie, detersivi, ammorbidente, una corda di canapa e altre mollette per bucato come quelle appese al filo. Annuisco e sorrido. Infissa nell’anta c’è quello che mi aspettavo di trovare: una fila di chiodi piantati a distanza regolare, di quelli con la punta ricurva fatti per agganciare qualcosa… e a quell’anta sono stati agganciati degli oggetti precisi, che nel corso degli anni hanno lasciato un’orma inconfondibile sul bianco del mobile. Uno di essi è ancora lì: un battipanni di vimini col manico tagliato e rinforzato con nastro da tennis per tener salda l’impugnatura. Sia mai che scivoli mentre è in servizio!

    Chiudo l’armadio: «ho visto abbastanza», dico, e facciamo ritorno nel soggiorno al piano terra. Chiedo informazioni sui membri della sua famiglia cioè sulle figlie: come stanno, se c’è qualche nipotino in arrivo e se passano a trovarla ogni tanto, quando posso organizzare le visite per la vendita così da non recare disturbo… tutto il solito giro di domande.
    Lo confesso: alcune non fanno parte della prassi, ma sono comunque di mio interesse e recito la lista di domande col tono più professionale che mi riesce. Ottengo tutte le risposte che mi occorrono e mi congedo.
    La figlia maggiore, quella della foto in costume da bagno, si chiama Marzia. Il cognome lo conosco già. Non è sposata e passa spesso a trovare la madre quando si trova in città: il suo lavoro la porta in giro per il mondo.

    Mentre organizzo le prime visite alla villa, comincio a scandagliare i social network alla ricerca di un profilo compatibile con nome, cognome e foto. La rintraccio in meno di dieci minuti: certe persone amano apparire e Marzia si dimostra all’altezza delle aspettative. Ventinove anni, porta i capelli lunghi raccolti in una treccia, gli piace cambiargli spesso colore… chissà qual è quello naturale.
    Non vedo l’ora di scoprirlo.
    Ha amici in prevalenza uomini, la maggior parte risiede all’estero: amicizie lontane, di vicino ha la sorella. Discreto bocconcino anche lei, purtroppo è sposata ed io, per questioni etiche e filosofiche, non approccio mai donne appaiate, non per primo.
    Nel suo profilo è scritto tutto quel che mi occorre sapere, neanche ho bisogno di chiederle l’amicizia per raccogliere più informazioni: le foto che ha pubblicato parlano da sole. In alcune di esse fa splendere il suo lato B su una spiaggia incastonata tra scogliere altissime, tutte le foto sono geo-taggate e così riesco a ricostruire dove è stata e chi ha visto negli ultimi sei mesi. Anche se conosco molte persone stupide, questa non lo è: capisco che tutta questa abbondanza di informazioni non è messa lì per caso. Ogni indizio concorre a formare un unico quadro possibile. Eppure sembra che nessuno dei suoi amici lo ha capito? Comincio a spulciare i profili di amici e amiche, almeno là dove posso guardare senza dover chiedere l’amicizia.
    Alcuni di loro l’hanno incontrata. Probabilmente da loro ha ottenuto ciò che desiderava; una piccola indagine sui profili di alcuni di questi gentiluomini conferma la mia ipotesi. Un paio sono anche miei contatti, persone discrete, ma legate a me dalla stessa passione.

    Senza indugio le invio una richiesta di amicizia.

    Tuttavia sento che sto tralasciando qualcosa.

    Nei giorni successivi sono molto occupato col lavoro: ho in agenda sedici appuntamenti da gestire nell’arco di due giorni, tre di essi riguardano la villa di Anna. L’ho valutata 1.500.000€ e i potenziali acquirenti cominciano a farsi vivi. Del resto è una villa di pregio, ben manutenuta e non lontana dalla città.

    Al secondo appuntamento ad accogliermi assieme ad Anna c’è Marzia, oh che sorpresa! Insieme a me c’è una coppia di signori sulla quarantina che ho portato a vedere altre ville simili, in zona. La fisso diritta negli occhi. Sono neri, come la treccia che le ricade su una spalla, ma la somiglianza con la madre finisce lì. Marzia è molto più alta, il vestito che indossa pare la negazione stessa del suo profilo social. Golfino di lana lilla, a collo alto, pantaloni in flanella ampi a vita alta, senza cintura. Il viso è ovale, labbra carnose e perennemente imbronciate, naso alla francese. Tutta suo padre, anche nel taglio degli occhi che appaiono grandi e spauriti come quelli di una cerbiatta. Per un istante i nostri sguardi si incrociano, lei si copre il seno con un braccio e il ventre con l’altra mano, come se non avesse nulla addosso, poi si ritira nella sua stanza su invito della madre.
    Invito… è stato proprio un ordine, di quelli che se ti azzardi a disattendere ti ritroverai a vedere i proverbiali sorci verdi, magari sulla panca in lavanderia, a pancia in giù.
    Completo il giro della casa insieme ai miei clienti e poi mi congedo. Marzia è ricomparsa accanto alla madre, ora sorride e mi saluta di rimando. Un campanello sul mio smartphone mi conferma che è arrivata una notifica su facebook.
    E adesso ho capito cos’è che mancava.
    Congedarmi dai clienti non è mai stato tanto appagante come in questo momento. Balzo in macchina eccitato come un sedicenne che sta per aprire il paginone centrale di Playboy e impugno il telefonino mentre le dita cercano freneticamente l’elenco delle notifiche. Ha accettato la mia richiesta di amicizia e ora posso vedere tutto il suo profilo. È cambiato, ora si vedono molte più foto e decisamente differenti, ma ormai ne ero certo. C’è persino il suo numero di cellulare.
    Lo aggiungo subito alla rubrica. È presente su Telegram e Whatsapp, probabilmente ora sa che l’ho aggiunta. Devo essere veloce.
    Le invio un messaggio: “sei stata molto cattiva”, scrivo. “Tua madre non sa quello che fai, vero?”
    Lei risponde con due faccine, una che ride a denti stretti e l’altra piangente: “ti prego, non dirglielo! Non sai di cosa è capace!”
    “So bene di cosa è capace”, rispondo.
    “Te lo ha detto lei?!?” La sua risposta contiene ben quattro faccine sbalordite.
    “Tua madre è una signora perbene, ama mostrare una facciata distinta e inappuntabile anche meglio di te, ma quando ho visto la lavanderia è stato come se avesse messo un cartellone 10 metri per 6 con la spiegazione per ipovedenti.”
    Questa consapevolezza rovina un po’ il gioco, ma solo un poco.
    “La vecchia non voleva che fossi presente mentre passavano i potenziali compratori per la casa, pretendeva che aspettassi chiusa in camera mia come quando avevo sedici anni! Ma io sapevo che saresti passato e quando ho ricevuto la tua richiesta di amicizia volevo darti una buona occhiata, prima di accettare. Non do il mio numero di cellulare al primo che incontro.”
    “Magari tua madre non la pensa così, ma non le dirò nulla di cosa fai adesso coi tuoi -amici-, ma sai di meritare un bel castigo, vero?”
    Scrivo velocemente, vedo che sta scrivendo, poi smette. Ricomincia a scrivere. Si ferma di nuovo.
    “Rispondi!”
    Scrivo, senza aggiungere faccine. So che non sto esagerando. La ragazza è esigente e vuole solo avere una conferma.
    “Si. Lo merito.” Faccina triste.
    Centro! Si comincia, penso, mentre consulto l’agenda per i prossimi giorni. Venerdì ho la mattina libera. Anche domenica pomeriggio non ho impegni. Riprendo a scrivere.
    “Per prima cosa fila in camera tua, se non ci sei già, ti fai un belfie integrale e me lo invii. Per la seconda foto dovrai scendere in lavanderia.”
    Dopo poco mi arriva la foto di lei riflessa nello specchio della camera, col golfino sollevato sulla pancia e i calzoni di flanella abbassati quel tanto che basta a lasciarmi ammirare due natiche come quelle della foto, solo meno abbronzate e incorniciate da uno slip in pizzo nero.

    “Va bene così?” Mi scrive subito dopo l’invio.
    Decido che mi va bene, ci sarà tempo per ammirarlo meglio.
    “Ovviamente no” le rispondo “Sei stata molto maleducata a negarmi la visione completa, ti dovrò impartire parecchie lezioni al riguardo.” non le lascio il tempo di rispondere “Venerdì mattina ore nove, hotel ‘La rosa nera’, tra poco ti passerò anche l’indirizzo. Troverai una camera prenotata a nome “Rossi”. Ci troverai tutto il necessario e le istruzioni per utilizzarlo. Ogni secondo di ritardo renderà più severo il tuo castigo. Ti è chiaro?”

    “Mi è chiaro, risponde. Attendo l’indirizzo, a venerdì.”
    “No”, continuo a scrivere, “e questo ti costerà caro. Rileggi quello che ti ho ordinato e obbedisci, non hai molto tempo: tra poco dovrai scendere in lavanderia.”
    “Come fai a sapere che andrò là?”
    “Tua madre ha lasciato il battipanni appeso nell’armadio, e tu le hai disobbedito per vedermi di persona prima di confermarmi l’amicizia. Non è una donna di cui possa contravvenire agli ordini senza conseguenze. Se non ti chiamerà tra poco per darti una ripassata sarai tu a chiederglielo e mi manderai una foto del risultato. Se non sarò soddisfatto dovrò provvedere io; venerdì mattina ore nove in punto. Ora ti mando l’indirizzo.” le scrivo.
    “Ma ho 32 anni, non posso chiedere a mia madre di usare il battipanni!”
    “Trova un modo, ma voglio proprio vedere quel tuo meraviglioso culetto grigliato a dovere da una mano esperta.”
    Lei risponde solo con tre faccine piangenti.
    Mentre aspetto scrivo l’indirizzo dell’hotel e poi preparo le istruzioni che troverà nella stanza:
    “Andrai in bagno, ti farai una doccia e lascerai i vestiti lì. Il termostato della stanza è impostato su 22°C, lascialo com’è. Sul letto troverai quattro cuscini: prendili. Sotto ci saranno due paia di manette, due corde per accappatoio, una benda, una ball-gag, un foglio e una penna. Per prima cosa legherai le caviglie con le corde degli accappatoi alla pediera e farai in modo che le tue gambe siano larghe il giusto: né chiuse, né completamente divaricate. Coi cuscini farai una pila davanti a te. Indossa le manette ai polsi, un paio per polso e lascia l’altro bracciale aperto."
    Mi faccio l'appunto mentale di rimediare due corde da accappatoio come quelle che ho visto in bagno a casa di sua madre.
    "Metti la benda sulla fronte e poi se sceglierai di mettere la pallina in bocca serra bene la fibbia! Scrivi sul foglio la safe-word, dalle foto “segrete” del tuo profilo sono certo che sai benissimo cos’è. Appoggia il foglio sul comodino e poi stenditi sulla pila di cuscini così da lasciare il tuo bel culo esposto a dovere. La chiave delle manette è appesa alla testiera, al centro (ma a questo punto l'avrai già notata). Se cambi idea potrai farlo finché non avrai chiuso anche il secondo paio di manette. Quando le avrai serrate alle sbarre della testiera potrai solo attendere che giunga il tuo castigo. Se vorrai usare una safe-word scrivila prima di legarti sul foglio, ma se intendi indossare la ball-gag vorrà dire che non ne avrai bisogno per un bel po’.”
    Mentre scrivo sento l’uccello diventarmi di marmo.
    Inspiro più volte per impormi la calma. Sono stato misurato, sono stato pesato e potrei ancora essere giudicato mancante da questa signorina che, a quanto ho visto, si accontenta solo del meglio.
    “Quanto dovrai aspettare lo deciderò io, ma fai in modo di poter restare legata anche un’ora o due.” invio il messaggio e poi mi maledico pensando a quanto è ancora lontano venerdì.
    Avvio il motore e riparto, ho ancora altri appuntamenti: oggi finirò tardi.
    Mi arriva la sua risposta dopo un’ora, a cavallo tra due clienti: è un video, lo apro e vedo una finestra tonda da cui si vedono un armadio bianco e una panca sotto una finestra a bocca di lupo.
    Lì per lì non capisco e poi la rivelazione: è la lavanderia!
    Vedo entrare Anna seguita da Marzia. L’anziana donna indica alla figlia la panca e poi apre l’armadio da cui prende la corda e il battipanni.
    A bocca spalancata ammiro tutto il rituale, lei che si spoglia, la madre che la lega alla panca con la corda, e poi godo per lo spettacolo che capisco essere stato organizzato solo per i miei occhi… va be’, visto l’esibizionismo di cui Marzia fa sfoggio sul suo profilo credo che presto ci saranno molti altri ad ammirarla, ma l’onore di essere il primo oggi tocca a me.
    E poi impazzisco al pensiero di quello che potrebbe accadere venerdì.

    Ed eccoci al punto di inizio di questa storia. Lei è distesa, prona su una pila di cuscini col culo esposto al massimo. A causa della penombra non riesco a vedere in mezzo alle gambe, ma accendo la luce e scopro che è veramente mora, il nero dei capelli è il suo.
    Il sedicenne che è in me mi direbbe, anzi urlerebbe proprio, di saltarle addosso e magari venire con tutti i pantaloni ma, adesso, a quarant’anni suonati ho imparato gustare anche l’attesa. Il semplice poggiare le scarpe sulla moquette della stanza, l’avvicinarmi un passo dopo l’altro al letto, posare la borsa ed estrarre il battipanni sono azioni che mi offrono un piacere intenso. Per precauzione ho indosso la maschera di cuoio.

    Mi soffermo sugli altri strumenti: oltre al piccolo arsenale di tawse, canne e palette varie in rappresentanza della rastrelliera che ho nel seminterrato di casa ho anche delle pinze da bucato nuove di zecca (rigorosamente in legno), alcuni anal-plug in acciaio di sezioni crescenti e dildo altrettanto vari tra cui quello “a buccia di cetriolo” come lo chiamo io. Ho anche una striscia di cuoio grezzo: sono certo che non ne ha mai assaggiata una così, così come il gancio d’acciaio che legherò alla sua treccia con le stringhe di cuoio. Un premio da proporre solo se accetterà di essere la mia schiava per un po’.
    Le accarezzo il culo con il battipanni, lei caccia un sospiro e si agita, come se volesse essere liberata. Ma quel birbante del suo lato B, che pare essere uscito dalle mani del Canova, ci si struscia contro; brama quel contatto e mi sembra proprio che non veda l’ora di ricevere qualcosa più intenso. A maggior ragione voglio farla aspettare ancora un poco: più si eccita e meglio sarà per entrambi. Il foglio con la safeword è sul comodino. Leggo “rigore”, sorrido e metto da parte.
    «Sei stata davvero cattiva a giocare alla tua povera, vecchia, madre quello scherzo… o era d’accordo a essere ripresa?»
    Lei mugola e io, con un movimento della mano libera dettato dall’esperienza, allento la ball-gag quel tanto che basta per farla parlare.
    «Era d’accord—» lascio andare la pallina che torna a bloccarle la bocca.
    «Hai perso la tua prima occasione per essere sincera. Riceverai dieci colpi aggiuntivi col battipanni, ma a piena forza».
    Lei mugola e si agita, ma le manette con cui s’è legata al letto non cedono di un amen. Le sbarre del letto sono tutte scrostate, proprio a causa di tutti quelli che prima di noi hanno usato quel luogo per lo stesso scopo.
    Sorrido. Non mi capita spesso di dire "noi".
    «Vuoi sapere come faccio ad averti scoperta così facilmente? Durante il video tua madre non ha mai guardato, neanche una volta, verso la lavatrice. Tu invece eri sempre con lo sguardo verso l’oblò. Tu sapevi, lei no o è un'attrice professionista cosa di cui dubito.»
    Passo la mano libera lungo la sua schiena e le accarezzo la pelle, morbida e vellutata proprio come l’ho immaginata per tutta la settimana.

    Guardo l’ora: le nove e mezzo. Accidenti come vola il tempo! Mezz’ora è passata in un lampo.
    «Sei una cattiva ragazza, lo sai?» dico col tono più neutro che riesco a trovare.
    Lei fa sì con la testa.
    «E meriti una punizione anche perché non mi hai mandato un belfie fatto bene, come avevo chiesto?»
    Lei mugola qualcosa, ma decido di non toglierle la ball-gag e mi avvicino alla sua testa. Emana un profumo di viole e lavanda che mi procura un capogiro.
    «Puoi solo dire sì o no, con la testa» sussurro. Le si ferma. Scuote la testa.
    «Ah no? E quindi secondo te un selfie del tuo lato B si ferma alla metà superiore?» lascio scivolare il battipanni lungo la schiena, fino ad appoggiarglielo sulle natiche. Fremono di nuovo. Le assesto un colpetto leggero, per farle saggiare lo strumento.
    Lei scuote di nuovo il culo, mugola un po’, fa sì con la testa.
    «E tua madre sapeva di essere ripresa, quando t’ha fatto spogliare in lavanderia prima di legarti alla panca?»
    Lei scuote la testa.
    «Allora per il belfie fatto male prenderai altri dieci colpi, oltre quelli già annunciati. Poi penserò a come punire quello che hai fatto a tua madre.»
    Alzo il battipanni, lei affonda la faccia tra le lenzuola.
    «Preparati, perché tra poco piangerai come una ragazzina» dico e poi le assesto il primo di una lunga serie di swing via via più intensi, veloci al punto che lei non riesce a mugolare “AH!” che il successivo ha già arrossato le sue natiche.
    Dopo la decina di colpi promessi, di quelli che considero leggeri, ne tiro uno medio. Finalmente urla, anche se la pallina che ha in bocca non le permette di esprimersi appieno.
    Fingo di tirare un altro colpo, lei si contrae, poi vado giù con tutta la forza del braccio, una sola volta. Il battipanni la sculaccia con uno schiocco potente, come il suono di un bacio amplificato mille volte. Vedo le sue natiche colorarsi col tipico disegno a maglie, segnate dal vimini; la treccia scivola di lato. Alzo lo strumento e mi preparo a colpire ancora. Lei si contorce e tenta, invano, di liberarsi dalle manette.
    «Vacci piano con gli strattoni, signorina: serrature a parte le manette che ti bloccano sono del tutto simili a quelle in uso alle forze di polizia. Se tiri così rischi solo di farti male ai polsi.»
    Mi prendo una pausa e le sfioro le cosce con la mano libera. Risalgo su fino all’incavo tra le gambe che trovo bollente e umido. Il suo respiro si fa più intenso.
    Poi appoggio la giacca sull'unica sedia presente, mi tiro su la manica della camicia e le dico: «Ogni cinque minuti avrai la possibilità di parlare. Se confesserai mi mostrerò diversamente clemente.» poi mi viene da aggiungere «Hai scelto una parola ben curiosa "rigore". Se non lo chiederai tu, sta tranquilla che sarò io a provvedere!»
    Ammiro il risultato di questo primo giro e decido che sarà proprio una mattinata piacevole.
    Per entrambi.
  13. .
    Non ero a conoscenza di questa dinamica e credo che sia una storia bellissima, soprattutto per la serenità e la chiarezza di intenti di come sia finita (mi riferisco all'aspetto play partners ovviamente).
    È davvero in bel manifesto di quello che dovrebbe essere il dialogo tra top e bottom ed emblema del valore aggiunto che una pratica o un rapporto ds dovrebbero portare nelle nostre vite.
    Grazie per averlo condiviso
  14. .
    L’anno scorso ho iniziato a fare una vacanza che mi sono ripromessa di ripetere almeno ogni 6 mesi.
    A questa vacanza ho dato un titolo “settimana fotografica in solitudine alla scoperta di se stessi e dell’Italia”, lo scopo principale di questa vacanza è quella di farmi ritrovare me stessa facendo ciò che mi piace.
    Per ritrovare me stessa è indispensabile che io riesca ad eliminare tutte distrazioni dalla vita quotidiana tradizionale e per questo deve assolutamente essere fatta in solitudine e con il cellulare acceso solo per le emergenze, niente telegram, whats app o telefonate fuori dall’ora ritagliata nella giornata dedicata alla vita ordinaria. Per ritrovare me stessa è necessario che analizzi il mio sentire e vedere, la fotografia da anni mi aiuta a farlo, analizzare ciò che mi circonda per fotografarlo fa si che io debba esegua un analisi introspettiva per rendere nella foto ciò che io vedo in quell’oggetto e cercare di rendere anche ciò che mi fa provare.
    Quest’anno faccio fatica a trovare una settimana intera di ferie fuori dal periodo pieno estivo e così con un po’ di straordinari e un leggero calo di lavoro sono riuscita ad ottenere all’ultimo minuto tre giorni a metà maggio che unito al week end precedente mi permettono di stare fuori 5 giorni. Non è una settimana intera ma bisogna sapersi accontentare.
    Visto il periodo ridotto e il poco preavviso mi riprometto di fare un viaggio più vicino a casa che non fa quello fatto l’anno scorso dove ho visto vari luoghi partendo dal Veneto arrivando al Lazio in 8 giorni e ritorno diretto senza sosta.
    Apro internet e il sito “borghi d’Italia” che ho utilizzato la volta scorsa e comincio ad organizzarmi 5 giorni in zona Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia.
    Tiro fuori i borghi che mi ispirano di più e li metto in ordine per chilometraggio cosi da ottimizzare il tempo di trasferimento, metto i luoghi in ordine di visita ma senza indicare il giorno in cui andrò a visitarlo perché voglio essere libera di restare pochissimo o tantissimo tempo in un determinato borgo, non voglio mettermi obblighi di nessun tipo e infatti prenoterò dove dormire poche ore prima di andare a pernottare, tanto visto il periodo non c’è rischio di non trovare posti disponibili.
    L’8 a pranzo comincio a preparare lo zaino con gli abiti adatti alle temperature viste dalle previsioni del tempo. La borsa della macchina fotografica è pronta da un paio di giorni, finisco di preparare quella degli accessori, mi viene da ridere a vedere che per vestirmi uno zaino ma per la macchina fotografica due zaini che scoppiano di materiale. La volta scorsa non avevo portato tutto e ovviamente mi serviva proprio quello che non avevo portato.
    Nel pomeriggio durante la pausa caffè chiacchiero 5 minuti con Francesca su Telegram e scopro che non le ho detto l’altro giorno (quando ho ottenuto le ferie) il mio progetto di vacanza. Ci diamo appuntamento alla sera per una video chiamata perché lei è curiosa di saperne di più e a me fa piacere che lei si interessi alle mie passioni e alla mia vita. In passato non le parlavo molto della mia vita perché davo più importanza a sapere della sua e occuparmi della sua testolina.
    Prima di cena la chiamo e durante la video chat le spiego che cosa voglio fare in questi quattro giorni di vacanza, le faccio vedere i borghi che ho scelto. Il suo sguardo è incantato dai luoghi ma più che altro dal mio raccontarle come mi fa sentire dedicarmi alla fotografia.
    Il suo viso diventa capriccioso e un po’ triste. Così le chiedo istintivamente che ha.
    “Uffi però… martedì è il mio compleanno… potevi portarmi con te a festeggiare con una vacanzina. Daiiiii…. Portami con te…. Giuro che mi faccio piccola…. Che faccio la brava…. Che non ti disturbo… io adoro fotografare e tu lo sai.”
    “Ah si? E’ il tuo compleanno?” faccio finta di non saperlo, ma come posso non saperlo?
    “Shiiiii…… e tu devi farmi il regalo di compleanno come tutti.”
    “Francy non sai quanto desidererei conoscerti dal vivo e questa sarebbe un’esperienza bellissima fatta insieme ma tu purtroppo lavori. E poi dovresti sopportarmi giorni interi senza poter fuggire e il tuo sedere finirebbe sicuramente male.” Cerco di sdrammatizzare, mi ha preso alla sprovvista questa sua richiesta. Non so se prenderla sul serio o se dice tanto per dire.
    “Io lavoro solo mercoledì, ho preso ferie per il giorno del mio compleanno e loro mi hanno dato anche lunedì come ponte. Non puoi lasciarmi a casa a non fare nulla solo perché Mercoledì non sono a casa… sei proprio cattiva….” E mi mette il musetto arrabbiato.
    Scoppio a ridere vedendola così, mi convinco che stia facendo la bimba capricciosa per gioco e che se le offrissi di venire mi direbbe di no facendomi restare male poi davanti al suo no.
    Ci salutiamo senza completare il discorso perché lei deve andare a cena e io devo completare i preparativi per domattina.
    Poco dopo cena lei mi scrive “ci hai ripensato? Mi porti? :-P”
    La chiamo di nuovo in video chiamata senza preavviso.
    “Francy ascolta…” il mio viso è serio, cerco di farle capire che non sto scherzando e che voglio una risposta seria.
    “Dimmi…”
    “Mi stai prendendo in giro con questa storia di venire anche tu?”
    “No! Perché dovrei?”
    “Se io ora ti dicessi che domattina alle 10:30 sono da te per andare insieme a fotografare i borghi Abruzzo e Molise tu che faresti?”
    Lei mi fissa e non parla per un paio di minuti. Io non so che fare, comincio a pensare di aver preso di nuovo una cantonata, lei stava parlando tanto per dare aria alla bocca convinta che non glielo avrei mai proposto.
    Con una vocina piccolissima “Se tu lo facessi io passerei la sera a preparare la borsa e la macchina fotografica.”
    I suoi occhi sono luccicosi e questo mi dice che forse non ho preso una cantonata.
    “Francy…. Faccio sul serio, se tu mi dici che vieni con me quattro giorni io cambio i miei programmi all’istante e domattina sono da te.”
    “Ma tu non volevi farlo da sola? Non è il tuo viaggio in solitudine alla scoperta di te stessa? Se venissi pure io non sarebbe più così.”
    “Francy… non ti preoccupare di cosa io volevo, preoccupati di cosa tu vuoi e puoi ora. Non avere paura di dirmi di no, perché se mi dici di si poi non puoi più tornare indietro.”
    “Sei sicura?”
    “Si Francy… sicurissima.”
    “Posso pensarci una mezz’ora?”
    “Certo che puoi, ma mi raccomando poi niente ripensamenti. Se dici no è no , se dici si è si. Per me va bene entrambe le risposte, non ci resto male se mi dici di no ma non posso negare che se mi dici di si mi faresti felicissima.”
    Mettiamo giù e io mentre aspetto organizzo un rapido giro di borghi Abruzzo e Molise, ne prevedo meno perché essendo in due i tempi saranno sicuramente più lunghi sia causati dal tempo che utilizzeremo insieme diverso dal fotografare sia per andare incontro ai gusti di entrambe.
    Guardo quanto tempo ci vuole per raggiungere casa sua di mattina prestissimo per capire a che ora partire da casa mia per rispettare l’orario che le ho dato.
    Il tempo passa e la mezz’ora diventa un ora, comincio a pensare che lei non mi chiamerà perché non sa come dirmi di no. Mi arriva un messaggio su telegram che contiene solo una foto, la scarico e quando si apre c’è uno zaino pieno, una borsa di macchina fotografica e a terra un paio di scarpe da ginnastica. La didascalia dice “Tutto pronto… manchi solo tu.”
    Un brivido mi corre per la schiena… non credo che accettasse davvero.
    Le mando la foto di un orologio con indicato 10:30 e la didascalia “vedi di essere puntuale o iniziamo con il non sederci facilmente da subito! P.s. magari se mi dai il tuo indirizzo non sarebbe male.”
    Metto la sveglia alle 5 e vado a letto dopo averle mandato la buona notte e indicandole che ha tempo fino alle 5 per cambiare idea e poi non potrà più farlo.
    Non dormo molto, sono agitata e non ne capisco il perché.

    Alle 5:30 mi metto in macchina, imposto l’indirizzo che lei mi ha mandato e parto verso il centro Italia, accendo la musica ad alto volume per tenermi sveglia ma soprattutto occupata e non pensare che tra poche ore vedrò per la prima volta Francy.
    Alle 6:30 mi suona il telefono e la macchina mi presenta sul display il nome di Francy. Quando le rispondo mi racconta che non riuscendo a dormire ha deciso di telefonare per farmi compagnia e tenermi sveglia. Mi da della vecchia che potrebbe addormentarsi mentre guida se lasciata sola. Quella furbetta me la pagherà sicuramente. Facciamo 4 ore di chiamata, mi racconta mille cose, la sento mentre di lava, mentre si veste, persino mentre fa la doccia decide di non mettere giù ma gridare per farsi sentire.
    Mi fa sorridere questo suo atteggiamento, ci saremmo viste da li a poco eppure non vuole lasciarmi un minuto.
    Alle 10:27 sono sotto casa sua e lei è li fuori pronta a salire in macchina, scendo per aiutarla a caricare le cose nel baule.
    “Lascia stare faccio da me, sono giovane ma non impedita”
    “E io sono vecchia ma ancora ho le forze per aiutarti!”
    Ridiamo un attimo prima di ripartire per la nostra avventura fotografica, di divertimento ma soprattutto di reale conoscenza tra due persone che si parlano da tempo.
    Arriviamo alla prima tappa in men che non si dica, per tutto il percorso lei è logorroica e io l’ascolto senza interromperla mai, non capisco che le succede, non è mai stata così tanto attiva con me. Ci fermiamo a pranzare in un piccolo ristorantino e finalmente a bocca piena si zittisce.
    “Francy, mi dici che succede?”
    “Che succede?”
    “Si, sembra che stai facendo di tutto per non pensare, non che mi dispiaccia che mi racconti tante cose di te ma ho l’impressione che tu non sia a tuo agio.”
    “Beh… cerca di capire…”
    “Cosa? E’ la prima volta che ci vediamo, siamo partite in viaggio insieme… ecco vedi io…
    Si zittisce e vedo che si spegne.
    “Non avere paura… dimmi che succede in questa testolina?”
    Mi verrebbe da stringerla a me per sbloccarla ma non lo faccio perché so che lei non lo accetterebbe facilmente, mi ha sempre detto che deve essere pronta per essere toccata, deve essere disposta a condividere il suo spazio vitale con me.
    “Ecco vedi… ho paura...”
    “Paura? Di cosa hai paura?”
    “Che tu mi lasci qui o in un altro paese perché scopri che non ti piaccio come pensavi, perché scopri che la calamita che ci attrare una all’altra perde la forza.”
    “Signorina chiariamo giusto un paio di cose. Primo io non abbandono nessuno in giro per l’Italia solo perché scopro che non posso occuparmi davvero di lei. Secondo anche tu potresti accorgerti di non essere davvero interessata a me ed essere la parte della calamita che cambia polo, questo non ci avevi pensato?”
    Finalmente parliamo davvero, diventa un colloquio, un confronto, un aprirsi una all’altra.
    Passiamo dal ristorante a un grande parco per continuare il confronto, non voglio lasciar cadere il discorso, potrebbe essere difficile farla riaprirsi con me se interrompessimo.
    Il pomeriggio vola su una coperta, con il tempo che passa lei si avvicina fisicamente a me fino a trovarsi con la testa sulle mie gambe e i capelli tra le mie dita che li accarezzano. Lei sembra iniziare a rilassarsi, inizia a sentirsi a suo agio finalmente. Capisco che è tornata la mia Francy quando stiamo andando verso l’hotel inizia a fare capricci, a farmi i dispetti, inizia a fare la brat che conosco da sempre.
    “Francy sta buona o stasera ….”
    “Stasera cosa?”
    “Finisci sulle mie ginocchia.!”
    “Gna gna gna…. Non lo faresti mai.”
    “Vuoi sfidarmi?”
    La guardo storto e senza che mi vedano in giro le do uno sculaccione ben piazzato.
    “Ahio… ma sei scema?”
    “E’ un acconto signorina… continua così e vedrai il conto.”
    Lei mi fa una linguaccia ma smette… almeno per cinque minuti.
    Nemmeno il tempo di arrivare in camere che inizia di nuovo a farmi i dispetti.
    Sto facendo la doccia e suona il telefono una volta, poi un bip, e di nuovo il telefono che suona.
    “E’ tua madre, ha mandato anche un messaggio che dice che è urgente di rispondere.”
    Tiro una maledizione perché ho i capelli insaponati, le chiedo se mi allunga il telefono in bagno ed esco dalla doccia, quando mi rendo conto che mi sta prendendo in giro perché le chiamate e il messaggio provengono da lei mi giro e la vedo infilarsi in doccia al mio posto.
    “Chi va all’osto perde il posto.”
    Mi infilo in doccia con lei, per fortuna è grande e la obbligo a uscire, tanto si è solo bagnata un po’.
    Torno a lavarmi e lei mi spegne la luce, “Ti uccido… accendi subito.”
    “Non è colpa mia… hanno tolto la corrente a tutta la stanza, mi sa anche hotel, ma sono nuda e non posso uscire a verificare.”
    So che non è vero perché dalla finestra vedo alcune stanze e sono tutte illuminate.
    “Se non accendi subito giuro che ti cuocio il culo a puntino così illuminerà la stanza tanto incandescente sarà alla fine della lezioncina.”
    La luce magicamente torna….
    “Toh guarda… è tornata!”
    “Che acida che sei… non si può nemmeno scherzare.”
    Esco finalmente dalla doccia e la faccio entrare immediatamente a lavarsi. Devo pensare un po’, l’istinto sarebbe quello di metterla sulle ginocchia ma la testa mi dice che non posso farlo il primo giorno che ci vediamo.
    Dopo la doccia ci vestiamo bene e andiamo a cena in hotel per poi andare a fare una passeggiata e le ho promesso di portarla in sala giochi.
    Mentre mangiamo lei reinizia a fare i capricci, scherzi, a punzecchiare.
    “Ora smettila… Subito!!!!”
    Lei mi una linguaccia e mi lancia un pezzo di pane, è chiaro che mi sta punzecchiando apposta per vedere come mi muovo, per vedere se ho davvero il coraggio di suonargliele.
    Alla fine del secondo mi alzo.
    “Andiamo ora.”
    “no… manca il dolce ancora.”
    “Niente dolce per le bambine capricciose e dispettose.”
    “Come?”
    “Hai capito… non te lo sei meritato. Forza.”
    La prendo per un braccio e la faccio alzare, inizia a fare un po’ di storie ma io le sussurro “o la smetti o ti do uno sculaccione qui davanti a tutti!”
    Lei si zittisce di colpo e diventa leggermente rossa in viso.
    La prendo per mano e la tiro fuori dalla sala ristorante e andiamo a prendere l’ascensore per tornare in camera nostra.
    “Ma dove andiamo? Non dovevamo uscire?”
    “Non oggi… come per il dolce anche l’uscita è per le bambine brave.”
    “E io sono brava, su andiamo!” la sua voce è bambinesca
    “Tu sei una bimba che tra un minuto finisce a culetto nudo.”
    Non credo alle mie orecchie, nemmeno lei credo, le sto dicendo che la sculaccerò da li a poco.
    Lei non mi blocca, ma continua con le sue protesta da brat, nei suoi occhi non leggo paura o dispiacere, ci leggo voglia di farlo.
    Entrate le ordino di spogliarsi e mettersi il pigiama, tanto stasera non le servirà altro.
    Anche se con un po’ di proteste lo fa, ovviamente proteste che vengono combattute con qualche sculaccione volante. Io non mi cambio, resto in gonna e camicia.
    Quando finalmente è pronta la guardo tra gli occhi “Ora signorina iniziamo da qualcosa che non ti piacerà per nulla e poi se farai la brava passiamo a qualcosa che desideri da tempo.”
    Lei mi guarda incuriosita, un po’ spaventata per quanto sta accadendo, il non sapere esattamente che cosa sto tramando come castigo la stranisce sicuramente. Inizia a protestare animatamente con termini poco signorili, come direbbe lei da “scaricatrice di porto!”
    Il mio sguardo duro, il mio tono severo e quei tre quattro sculaccioni ben piazzati le fanno capire che non le conviene tirare la corda.
    Finalmente si lascia guidare da me, l’accompagno all’angolo della stanza e le abbasso pantaloni e mutandine, lei brontola a bassa voce dicendo che non è un bambina, le metto le mani sulla testa.
    “Non sei una bambina è vero… ma ti ci comporti. E ricordati che io le bambine non le sculaccio mentre le ragazze che ci si comportano si.”
    La lascio all’angolo poco più di cinque minuti, non l’ho mai lasciata sola, il castigo che pensavo era dieci minuti ma quando ho visto che una lacrima iniziava a scendere sul suo viso mi ci sono avvicina e l’ho girata verso di me.
    “Io sono qui piccina…”
    “Lo so…” il suo sguardo si è abbassato a terra ma io me la riporto a guardarmi alzandole il viso.
    “Ora signorina scaldiamo questo culetto da ragazzina impertinente, sbloccata, e dispettosa. Poi se chiederà scusa e dimostrerà di essersi pentita le permetterò di fare le nanne con me e prendere tante coccole.”
    Le sorrido, è la prima volta che la punisco e non voglio certo che creda che io sia arrabbiata con lei e che mi ha deluso.
    Lei mi da la mano, gesto che traduco in “ok facciamo!”
    Ci avviciniamo al letto e quando mi siedo lei si sdraia di sua spontanea volontà, senza che io glielo ordini o le faccia un gesto di invio.
    Mi fa sorridere questa cosa, mi dimostra di volerlo tanto quanto me, mi dimostra di stare bene in questa cosa.
    “E chi ti ha detto che te le do in otk signorina?”
    Lei gira leggermente il busto per guardarmi.
    “Io! Le bimbe si sculacciano sulle ginocchia no?”
    “Peste… ok per questa volta te la do vinta, ma la prossima volta ti faccio alzare.”
    Lei si mette più comoda, abbraccia una mia gamba come per costringersi a restare giù.
    Inizio a sculacciarla, prima con poca forza e velocemente, poi con il tempo aumento forza e diminuisco la velocità. Lei inizia a calciare quando il suo sedere appare arrossato, più vado avanti e più lei si dimena, inizia a piagnucolare che le faccio male, ma quel piagnucolare non mi rappresenta una reale convinzione ma più che altro un lamento capriccioso. Aumento la forza sempre più e lei a qual punto cambia atteggiamento, inizia a sentire davvero la sculacciata, le risposte iniziano ad essere adulte.
    Le do un momento di respiro quando vedo che inizia a fare fatica a stare ferma.
    “So che odi la spazzola e per questo non la uso stasera ma sappi che se nei prossimi giorni tiri di nuovo la corda non te la risparmio di certo.”
    Un sussurrato “grazie” anticipa il mio ricominciare a sculacciarla.
    “Ahia… ma ancora? Mi fai male!”
    “Ti ho detto che ti risparmio la spazzola non che la punizione è finita.”
    Vado avanti molto a sculacciarla, non uso tanta forza, il mio reale scopo di stasera non è farle male o ottenere il risultato di farla pentire, ma è quello di creare un rapporto tra me e lei, rendere realtà ciò che abbiamo immaginato per tanto tempo in chat e per telefono. Il mio scopo è quello che lei senta finalmente attraverso il suo culetto bollente la mia presenza, il mio interessa a occuparmi di lei, il mio volerla educare se serve. Il suo non scappare dalle mie ginocchia mi dice che pure lei non sembra avere uno scopo diverso.
    Quando la mano ormai mi fa male e il suo sedere e cosce hanno un colore uniforme mi fermo, le accarezzo tutta la parte bollente e inizio a parlarle dolcemente.
    Quando si alza ha il viso bagnato, il suo viso è leggero, il suo sguardo è dolcissimo.
    Me la metto seduta sulle ginocchia e inizio ad asciugarle le lacrime con le mani e le allungo un fazzoletto per pulirsi il naso gocciolante.
    “Scusa… non volevo farti arrabbiare!”
    “Non ci giurerei… ricordati che se mi sfidi io raccolgo la sfida e a pagare è questo culetto!” le do una leggera pacca sul sedere.
    “ahio… manesca!”
    E’ tranquilla per fortuna, avevo paura a fare questo passo, potevo rovinare tutto a fare questa cosa già il primo giorno.
    Le scompiglio i capelli.
    “Su signorina ora tu a letto, io mi cambio e vengo a coccolarti un po’ mentre guardiamo un film in tv.”
    “Un film? Facciamo un cartone disney?”
    Sorrido… “Ok un cartone per la bimba!”
  15. .
    Sono qui, con il culo rigato dalla canna e il volto rigato di lacrime, lacrime di dolore, di desideri soddisfatti, di emozioni non trattenute, ma lasciate libere di esprimersi.
    Ti sto aspettando come una gattina in calore, con la testa bassa e il culo sollevato, che ancora arde per i colpi subiti e freme dal desiderio di essere riempito da te.
    Una lieve brezza mi sfiora la pelle sensibile e irritata, ti sento, sei dietro di me.
    Non posso girarmi, ma posso immaginare, so che sei inginocchiata davanti al mio culo offerto ed esposto, pronto a lasciarsi violare e ad accoglierti dentro di sè.
    Sento le tue dita bagnate che si appoggiano alla mia stretta serratura, accarezzandola con dolcezza, la mia fica già umida avverte una scossa e inizia a colare.
    Con un dito provi a forzare con dolcezza la serratura, che tenta di opporre resistenza, ti fermi e aspetti, non hai fretta, sai che al momento giusto si aprirà da sola.
    Rimani lì in attesa, paziente, finché senti la mia carne cedere al desiderio e inghiottire, golosa, entrambe le tue dita.
    Le sento lavorare con metodo e cura, massaggiando e dilatando, i miei gemiti gutturali e le condizioni della mia fica non lasciano dubbi sulle sensazioni che provo.
    Togli le dita e per un attimo mi sento svuotata, ma so che non durerà a lungo.
    - Spingi in fuori il culo! - è il tuo ordine perentorio.
    Obbedisco, sento la tua mano afferrare saldamente il mio fianco e mi sento come la preda tenuta ferma prima di essere azzannata.
    Controllo il respiro, cerco di rilassarmi per non opporre resistenza alla penetrazione, so che le tue dita erano solo un precursore delle sensazioni che stai per darmi.
    Lo sento, quel corpo duro e bagnato, che preme invadente sul mio sfintere, cercando di forzare il mio spazio privato.
    Mi fa sudare e gemere, ma è così che lo voglio, prepotente, devo percepire la sua forza che mi obbliga a cedere.
    Cerco istintivamente di contrarmi e di opporre resistenza, ma so che non servirà a nulla se non a farmi male, smetto di stringere e lascio che mi invada.
    Mi sento piena e vulnerabile, lo sfintere violato brucia ancora, ma desidero che tu rimanga lì dove sei, ti voglio dentro di me.
    Mi avvolgi con entrambe le braccia, chiudendo tra le mani i miei seni e tormentando i miei capezzoli turgidi.
    Adoro sentire il tuo bacino che sbatte contro il mio culo, prima lentamente, poi con spinte sempre più rapide, affondando duri colpi nel mio ventre, nella mia fica grondante, contro il mio utero contratto.
    Sono in estasi, in preda alle sensazioni che mi provochi, ma so che non ti basta, vuoi che raggiungiamo insieme la cima dell'Everest.
    Le tue dita delicate mi sfiorano il clitoride turgido, lo accarezzano dolcemente, in contrasto con le spinte vigorose che assaltano la mia fortezza posteriore.
    Mi perdo dentro me stessa, per qualche istante non ho più la percezione della realtà intorno, sento solo i miei gemiti e le pulsazioni ritmiche dei miei sfinteri...
    Quando torno in me apro gli occhi e tu sei lì, il tuo viso accanto al mio, a godere del mio sorriso ebbro di endorfine.
    L'odore dei nostri ormoni riempie la stanza.
253 replies since 21/4/2020
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